Alfie Evans, l’ultimo giorno di una storia tragica

Dopo una lunga lotta giudiziaria, pur in attesa dell’ultima pronuncia della Corte europea dei diritti umani, è pianificato per la giornata di oggi il distacco del ventilatore al piccolo

Nessun passo indietro, fino in fondo. Arrivati ormai al giorno stabilito per procedere con il distacco del ventilatore, la risposta alla richiesta di due genitori che chiedevano di poter portare in un altro ospedale il loro figlio gravemente malato rimane sempre la stessa. Un “no”, quello sancito a più riprese dalle sentenze che negli ultimi mesi hanno di fatto scritto la parola fine sulla vita di Alfie Evans. Colpito da una malattia sconosciuta, al momento non ancora diagnosticata con esattezza, che gli ha causato danni cerebrali irreparabili, il piccolo di 23 mesi si avvicina ai suoi ultimi momenti mentre raggiunge il culmine la contrapposizione fra la sua famiglia e i sanitari dell’ospedale che lo ha in cura da oltre un anno.

Due genitori che non hanno mai accettato la scelta dei medici dell’Alder Hey Hospital di Liverpool e che da tempo avevano trovato piena disponibilità all’accoglienza dall’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma e dall’Ospedale universitario Ludwig-Maximilians di Monaco di Baviera: due eccellenze nel campo sanitario, disposti ad accudire il bambino ma anche ad effettuare nuovi esami per arrivare ad una diagnosi più precisa che potesse essere utile in futuro anche per nuovi casi.

Per oggi, lunedì 23 aprile, è previsto
il pronunciamento d’urgenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, chiamata in causa ancora una volta da Tom Evans e Kate James: è quasi solo una formalità, perché nessuno intravvede concrete probabilità che da Strasburgo possano giungere notizie che cambino verso a questa storia. Peraltro, la Corte Suprema britannica, nell’ultima sua sentenza, ha messo nero su bianco che la Cedu non può cambiare quella che è «la legge dello Stato» e che più volte è stata ribadita dai suoi giudici: il «miglior interesse» per Alfie Evans è la fine al trattamento cui è sottoposto e nessun’altra strada può e deve essere percorsa. Al punto che, infatti, il distacco del ventilatore è pianificato ugualmente per oggi.

Ieri Thomas Evans ha inviato un appello direttamente alla Regina Elisabetta, chiedendo un suo intervento per fermare gli “ordini crudeli” che “non sono autorizzati da alcuna legge” e che pure sono stati emessi da giudici che “pretendono di esercitare il potere di vita e di morte sui sudditi di Sua Maestà”. Ma il padre di Alfie ha anche puntato il dito contro l’ospedale, mostrando per la prima volta pubblicamente (lo aveva fatto già in via riservata nel corso di un’udienza, ma in quell’occasione erano state dichiarate inammissibili) delle fotografie che testimoniano negligenza e noncuranza nella cura del bambino (ferite alla bocca, scarsa igiene personale e del respiratore).

«Quando nel dicembre 2016 – ha detto in un’intervista – Alfie è stato ricoverato, aveva sette mesi: soffriva di crisi epilettiche e aveva un’infezione, ma non l’hanno curato bene. Sedato in modo troppo pesante, è entrato in coma. Due settimane dopo il primo ricovero, i medici ci chiedevano già il permesso di staccare la spina del respiratore e di non rianimarlo più, ma io e sua mamma ci siamo opposti. Questo non è un modo giusto o dignitoso di trattare un bambino. Alfie è stato ignorato e non si sa ancora di che malattia soffra. C’è una grande differenza – ha poi detto ancora – fra rinunciare agli sforzi che non hanno possibilità di salvare la vita e prendere provvedimenti in modo attivo per provocare la morte: ritirare il sostegno vitale da un bambino malato non è un atto medico, ma un omicidio».

Thomas Evans ha anche reso noto il piano
esecutivo, proposto dall’Alder Hey Hospital e approvato dalla Corte Suprema, che prescrive le modalità per la sospensione della ventilazione. Programmata proprio per oggi, lunedì 23 aprile. Il piano prevede che «la sospensione della ventilazione avrà luogo nel comparto più riservato della Terapia Intensiva Pediatrica dell’ospedale» e prescrive che della famiglia di Alfie possano essere presenti, al momento dell’estubazione, solo il padre Thomas e la madre Kate, oltre ad altri due parenti prossimi e ad un sacerdote, se la famiglia lo vorrà presente in quei momenti.

In una prima fase si prevede che attraverso una cannula venga somministrato al bambino un preparato composto da Midazolam (un ansiolitico) e Fentanyl (un analgesico), in una dose che se necessario andrà successivamente aumentata per controllare i sintomi. Saranno disconnessi tutti i monitoraggi del battito cardiaco e della respirazione, e il tubo del respiratore verrà rimosso dopo essere stato disconnesso dal ventilatore. Lo staff medico continuerà da quel momento ad osservare la situazione di Alfie e la sua condizione, fornendo «supporto e conforto» laddove necessario. «Una volta che tutti i segni di vita esterni siano cessati – si legge nel Piano – un dottore esaminerà fisicamente Alfie per constatarne la morte e trascrivere l’ora del decesso». La famiglia potrà poi passare del tempo con lui prima che abbiano luogo tutti gli adempimenti connessi alla morte del paziente.

Salvo clamorosi colpi di scena, va verso la fine quindi una vicenda che ha fatto a lungo riflettere e che ha posto in evidenza la sostanziale differenza fra le prassi seguite nel Regno Unito in caso di bambini gravemente compromessi nelle loro funzioni cerebrali e quelle seguite in Italia e in un gran numero di altri paesi. Il diverso significato dato alla locuzione “accanimento terapeutico” in ambito medico ha accompagnato l’intera vicenda, caratterizzata nelle aule giudiziarie da un altro tema, fortemente divisivo: il significato di «best interest», l’assunzione cioè che i genitori potessero essere esautorati da qualunque decisione sul proprio figlio e che rispetto ad esso si potesse decidere che il suo «miglior interesse» consistesse in un’azione atta a causare in modo diretto la sua stessa morte. Perlopiù di fronte ad un’alternativa, cioè il trasferimento altrove, negata esplicitamente perché «potenzialmente rischiosa» per la vita del bambino. Tutti elementi (una morte decisa nell’interesse stesso del soggetto e imposta alla famiglia pur in presenza di soluzioni alternative) che rendono quella di Alfie Evans (come già lo furono quelle di Charlie Gard e di Isaiah Haastrup) una delle più complesse e tragiche vicende legate alla malattia, alle decisioni sul fine vita e più in generale al senso stesso dell’esistenza.

 

 

23 aprile 2018