Alex Britti racconta il suo “Progetto speciale”

Il cantautore romano sarà in concerto alla Casa del Jazz il 25 settembre. La passione per il blues e il rapporto con il figlio Edoardo, 4 anni: «Mi ha responsabilizzato molto»

Alex Britti torna a farsi ascoltare con un “Progetto speciale”, ma nel corso dell’intervista scopriremo che di “progetto speciale”, da quattro anni, ne cura un altro. Il cantautore romano, classe 1968, con oltre 40 anni passati a specializzarsi con la sua amata chitarra – di cui è un vero e proprio virtuoso -, è in tour in queste settimane e farà tappa alla Casa del Jazz il prossimo 25 settembre per un “Progetto speciale” con special guest il noto trombettista Flavio Boltro. Pubblico contingentato e rispetto di tutti protocolli anche per il nostro bluesman, che nella sua carriera ha suonato al fianco di leggende della musica come BB King, Eric Clapton, Pavarotti e Joe Cocker. Tra i singoli diventati “tormentoni” ricordiamo Solo una volta (o tutta la vita), del 1998, Oggi sono io, che lo ha lanciato definitivamente al Festival di Sanremo nel ‘99, inciso successivamente anche da Mina. E ancora, La vasca, Mi piace, Una su un milione, Io con la ragazza mia tu con la ragazza tua, Sono contento, 7000 caffè e Lo zingaro felice.

Il concerto romano prevede la rivisitazione del repertorio brittiano in chiave più intimista, elegante e incalzante allo stesso tempo, con pezzi noti affiancati da brani che lo stesso Alex ama definire i “lati B”, quindi meno conosciuti, ma che incarnano alla perfezione lo spirito di questo progetto in cui per una volta «è la canzone al servizio dei protagonisti e non il contrario». Questo grazie al trombettista Boltro, musicista eclettico come lui, con il suo stesso istinto, in perfetta sintonia tra note blues e jazz. Sul palco ad accompagnare i due protagonisti ci saranno tre musicisti: Riccardo Adamo alla batteria, Emanuele Brignola al basso e Davide Sambrotta al pianoforte e tastiere. Abbiamo intervistato Britti mentre è a casa, in pausa dal tour e, tra una domanda e l’altra, risponde anche al figlio Edoardo, 4 anni, il famoso “progetto speciale” di cui sopra, che diventa – a sua insaputa – il protagonista della nostra chiacchierata. Grazie a lui scopriamo un minimo pollice verde di Britti, che ha ricavato nel suo giardino un piccolo spazio per le erbe aromatiche («basilico, prezzemolo, menta romana, menta piperita e due o tre tipi di peperoncini», elenca con orgoglio), un modo anche per educare il figlio che, nonostante la tenera età, mangia tutte le verdure e tutti i tipi di pesce, è appassionato di semi da coltivare, riconosce un broccolo dalle foglie e conosce bene la cucina giapponese e i nomi dei piatti di cui è ghiotto, come i genitori. È lo stesso Britti, naturalmente, a confidare questi dettagli, a conferma che quel “progetto speciale” lo ha letteralmente travolto.

Come stai?
Benone, per quello che è questo periodo.

Come sta andando il tour?
Anche qui, benissimo, ma nei limiti della situazione, con il freno a mano tirato a causa del Covid. Ci tengo a rispettare le regole, le trovo giuste, ma questo rallenta tutto. Ad esempio a livello di organizzazione, si tende a contingentare gli addetti ai lavori, per montare il palco non si possono avere facchini, non puoi portare il tuo impianto, che fa la differenza nel suono, ma devi usare quello della struttura ospitante e quindi ogni volta bisogna regolare l’impianto e ci si impiegano dalle tre alle quattro ore e si arriva sempre trafelati all’inizio del concerto.

Dal palco che effetto fa la platea dimezzata?
L’effetto è strano, certo, oggi è sold out con la metà o un terzo delle persone davanti.

Com’è questo “progetto speciale”? Quanto ti senti vicino al jazz da cui proviene Boltro?
Molto di più di quello che si può immaginare. Oggi secondo me, nell’epoca di Spotify e della musica in tasca, non ha più senso parlare dei generi musicali tradizionali. Esistono solo due generi: “mi piace” e “non mi piace”. Non è più come negli anni Ottanta, dove addirittura ci si vestiva in base alla musica che si ascoltava. Ricordo bene le file fuori dal Revolver, storico negozio di dischi di Trastevere: riuscivo a capire in che reparto sarebbero andati in base a come erano vestiti, i rockettari da una parte, i metallari da un’altra, quelli della classica da un’altra ancora.

E tu come ti vestivi per comprare la tua musica preferita?
Io sono sempre stato appassionato di blues, in particolare amavo il suono della chitarra blues e ho sempre desiderato riprodurre quel suono. Negli anni Ottanta mi aveva preso in pieno il treno del blues, ma non conoscevo bene i musicisti, per me erano americani e basta. Da grande ho scoperto che quelli che mi piacevano di più erano tutti texani, quindi che fosse Steve Vaughan, piccolino e bianco, o Freddie King, grosso e nero, o ZZ Top, si vestivano tutti da cow boy e anch’io a 17/18 anni avevo i miei stivali a punta, il cappello e il giubbino con le frange: un cow boy a Trastevere. Per tornare alla tua domanda, io sono onnivoro, sono di quel genere di musica di chi ha una mentalità aperta. Sul palco con Boltro non sentiamo la differenza dei nostri rispettivi percorsi. Lui è un fuoriclasse, ha suonato con orchestre, ha fatto il solista, il gregario, ma anche se i musicisti vengono da storie diverse dalla tua, la musica poi unisce. Ho imparato da subito a interagire con tutti. Almeno nella musica non deve esserci razzismo.

Con la pandemia ancora in corso è difficile fare progetti ma cosa ti aspetti?
Innanzitutto vorrei suonare tanto! Sto scrivendo delle cose nuove, non so quando ma uscirò con un disco nuovo. Fatalità, sono quattro anni che non esco con un disco nuovo, da quando è nato Edoardo che mi ha assorbito tantissimo. Ho fatto parecchio il “mammo”, durante il lockdown siamo stati tanto insieme. Ho scoperto un istinto paterno che non pensavo di avere. Ero sempre lo “zio scemo” con i nipoti e i figli degli amici, quello che fa fare le cose divertenti e anche quelle che i genitori non permettono, invece lui mi ha responsabilizzato molto.

Nel 2018 sei stato professore nel programma tv “Amici”. Cosa dici ai giovani di oggi?
Non so se sono in grado di dire qualcosa ai giovani di oggi, il rischio è che dica qualcosa riferendomi ai giovani di ieri. Oggi i giovani funzionano in maniera diversa, posso capire ma non condividere. Al massimo posso dire loro di pensare più all’essenza e meno alla forma. In questo periodo storico, quello che per noi è innovazione per loro è normale. Mio figlio a 4 anni mi manda i vocali con WhatsApp, riconosce la mia foto tra i contatti della mamma o dei nonni – il manico di una chitarra – e mi manda i messaggi vocali da solo. Mi ha anche insegnato a usare correttamente l’assistente vocale “Alexa”. Io per alzare il volume ripetevo tre volte “Alexa alza il volume”, lui mi ha detto che bastava dire una volta sola “alza il volume di tre”.
Ma si tende ad abusare di certe opportunità, come dei filtri su Instagram. Succede anche con chi canta e suona. Sui social sono tutti bravi, gli artisti oggi sono tutti social media manager. Poi quando si misurano con la realtà offline cambia tutto, perché gli manca il processo. Non puoi fare l’università se non hai fatto il liceo e prima le elementari e le medie. Oggi invece si fanno due anni di elementari e subito l’università, mi riferisco agli artisti che escono dal contesto televisivo. Una volta usciti non c’è più nessuno che ti dica come vestirti, come muoverti. In tv si crea come una bolla e nascono anche tante illusioni, bisogna stare attenti anche a livello psicologico. Non a caso di tanti che passano dai vari talent ne restano pochi. Non dico di fare i club per venti anni, come me, che amavo suonare nei piccoli club, ma neppure passare dalla cameretta a Sanremo.

La tua chitarra si chiama ancora Martina?
Porella, sì! È stata la prima chitarra bella che ho avuto in vita mia, una Martin T-28, ormai non la uso più da tanti anni. Manager e casa discografica fecero quasi una colletta per regalarmela durante l’incisione del primo disco. Con lei ho fatto i primi tre anni, con una media di 200/300 spettacoli all’anno tra concerti e ospitate tv. Ormai è tutta rattoppata, si è rotta diverse volte, sembra una chitarra di 80 anni! Ha il manico sottile, oggi mi piace suonare con chitarre dal manico più grande, ma ogni tanto vado in cantina a spolverarla.

Ma intanto Alex Britti, oggi, va a togliere le rotelle alla bici di Edoardo.

10 settembre 2021