Aldo Moro, 39 anni fa il rapimento

Lo storico Guido Formigoni: «Aveva colto i segnali di una crisi incombente». Agnese: «Perdono a vantaggio di chi lo dà»

Lo storico Guido Formigoni: «Aveva colto i segnali di una crisi incombente». Agnese: «Perdono a vantaggio di chi lo dà»

«A ormai quasi quarant’anni di distanza, la tragedia di Moro non ha finito di far discutere. L’impressione di una verità monca e parziale incombe sui fatti. E quindi non permette di trovare una pacificazione della memoria». È quanto afferma Guido Formigoni, docente di Storia contemporanea all’Università Iulm di Milano, autore della recente biografia “Aldo Moro: lo statista e il suo dramma”. Lo statista di origine pugliese fu rapito dalle Brigate Rosse il 16 marzo 1978 e ucciso dai terroristi, dopo 55 giorni di prigionia, il 9 maggio seguente.

Nel rapimento, in via Fani, persero la vita i cinque agenti di scorta. Formigoni spiega come la tragedia di Moro abbia segnato uno spartiacque sia nella lotta al terrorismo sia nella storia politica italiana. Lo storico aggiunge: «Lo statista pugliese aveva colto acutamente i segnali di una crisi incombente della vicenda politica democratica italiana. Moro viveva drammaticamente la difficoltà di ricomporre queste dinamiche in un quadro riformatore, in quella che aveva delineato come “terza fase”, con un dialogo con il Partito comunista italiano che non intendeva costituire accordi di governo, ma certo un processo di legittimazione reciproca che desse spazio a un nuovo circuito di integrazione democratica della società italiana».

Intanto, dalle colonne del
settimanale diocesano cremonese La Vita Cattolica, è intervenuta la terzogenita dello statista democristiano: Agnese Moro. Per lei «il perdono va a vantaggio di chi lo dà, infinitamente più che a vantaggio di chi lo riceve. Quando si subisce un torto, infatti, soprattutto se questo torto è grave, si resta prigionieri di sentimenti fortissimi e terribili come il rancore, la rabbia, l’odio. Senza che ce ne accorgiamo questi stati d’animo prendono il sopravvento e diventano padroni della nostra vita, tenendoci bloccati nel passato, lì dove tutto si è compiuto. Il torto subito si ripete continuamente nella nostra mente, come se avvenisse oggi, facendoci rivivere ogni giorno quel medesimo dolore.

Perdonare, ha aggiunto Agnese,
«è una scelta», «una decisione, la decisione di rompere con la giostra dell’odio e della dittatura del passato che ne consegue». Si sceglie «di dare spazio a quanto di vivo e di bello può rimanere in vite anche molto segnate». In terzo luogo non è «un colpo di spugna. Ciò che è stato fatto di sbagliato, di offensivo, di crudele rimane tale e il perdono non può mai cancellare quello che è stato o renderlo meno terribile. Semplicemente lo ferma, non gli permette di intrufolarsi nell’oggi e ferire – con quella che è l’atroce catena del male – sempre nuove persone e anche chi allora non c’era».

 

16 marzo 2017