Al Palazzo dei Conservatori, in mostra “I Sommersi”
Inaugurata l’esposizione dedicata agli ebrei romani vittime del rastrellamento del Ghetto, il 16 ottobre 1943: oggetti intimi e quotidiani per raccontare la loro «vita spezzata»
Donne, uomini, tantissimi bambini. Furono le vittime del drammatico rastrellamento degli ebrei a Roma, 80 anni fa, le cui storie sono ora “protagoniste” di una mostra documentaria, dal forte impatto emotivo, presentata ieri mattina, 16 ottobre, al Palazzo dei Conservatori, ai Musei Capitolini, dove sarà visibile fino al prossimo 18 febbraio. Il nome non è stato scelto a caso dalle curatrici Yael Calò e Lia Toaff: “I Sommersi”, come appunto sommersi, abbandonati, spesso dimenticati, sono stati tutti quegli ebrei romani che quel 16 ottobre del 1943 furono strappati dalle loro case dalle truppe tedesche delle SS e della cosiddetta polizia d’ordine. Furono addirittura 1300, di cui almeno 689 donne e 207 bambini; di questi 1.023 furono deportati ad Auschwitz. Fecero ritorno solo in 16: 15 uomini e una donna.
«Singole storie e cronache personali sono state ricreate attraverso una preziosa selezione di archivi storici pubblici e privati e dalle testimonianze delle famiglie ebree romane», hanno spiegato le due curatrici. Nella mostra si alternano così «dipinti e disegni, fotografie, documenti, giornali, atti della Questura, elenchi dei deportati e alcuni indumenti». Quello che emerge, hanno sottolineato Calò e Toaff, «è la vita spezzata di queste persone, attraverso la suggestione e la potenza evocativa di tanti oggetti intimi e quotidiani».
Nelle parole del rabbino capo della Comunità ebraica di Roma Riccardo Di Segni, «gli eventi tragici purtroppo segnano la nostra Storia e purtroppo si ripetono tragicamente, come abbiamo visto giorni fa in Israele. La mostra – ha detto – mi ha stupito positivamente perché sottolinea le vicende e i destini individuali, racconta le storie di famiglie con estrazioni sociali anche molto diverse: dai semplici artigiani agli intellettuali. Nel vederla abbiamo il privilegio di leggere la storia e avere memoria: che non è solo ricordare ma soprattutto impegnarsi nei decenni per non ripetere». Una mostra «importante», l’ha definita il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, perché «serve a ricostruire quella giornata, le storie delle vittime e dei pochi sopravvissuti, ma serve anche per gettare nuova luce sulla drammatica burocrazia del male che con cablogrammi, telegrammi, note, lettere ufficiali portò e condannò alla morte migliaia di persone a Roma e milioni in tutta Europa».
Per il presidente della Comunità ebraica di Roma Victor Fadlun, «fare un paragone tra quei giorni e quanto sta succedendo oggi è difficile ma dobbiamo ricordare le parole di Primo Levi che ci disse di fare attenzione all’indifferenza, che può portare al ripetersi di quel male. Qualche giorno fa – ha aggiunto – alcuni dei sopravvissuti agli attacchi in Israele hanno però effettivamente fatto il paragone tra quanto accaduto a loro e tragici racconti ascoltati dai loro nonni e questo ci deve far riflettere». Anche secondo Fadlun «la forza di questa mostra è nella sua intimità» ma anche nel messaggio finale che arriva dalla Comunità ebraica di Roma: «È resiliente e oggi florida. 80 anni fa non sono riusciti a eliminarci e continuare a essere vivi e dinamici lo dobbiamo a noi stessi e a quelle migliaia di romani massacrati».
La mostra, aperta tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.30, è stata dalla Fondazione per il Museo ebraico di Roma – rappresentata alla presentazione dalla presidente Alessandra Di Castro, presente insieme all’assessore capitolino alla Cultura Miguel Gotor -, dalla Comunità ebraica di Roma e dalla Sovrintendenza capitolina ai beni culturali e rientra nel programma commemorativo dell’80° anniversario del rastrellamento, realizzato con il contributo del ministero dell’Interno.
17 ottobre 2023