Al gelo tra gli «invisibili»

Una serata con i volontari del Servizio notturno itinerante Caritas, tra i senza dimora che vivono in strada. Le storie di Francesco, Antonio, Giorgio

Una serata con i volontari del Servizio notturno itinerante della Caritas, tra i senza dimora che vivono in strada. Le storie di Francesco, Antonio, Giorgio

Ore 20.30: nel cortile della casa di accoglienza della Caritas “Santa Giacinta”, in via Casilina Vecchia 19, i volontari dello Sni, il Servizio notturno itinerante, si organizzano per trascorrere un’altra notte in compagnia dei senza dimora che dormono per le vie di Roma. Solitamente sono 5 le équipe in strada, ma da mercoledì 18 gennaio, visto il freddo intenso e grazie alla disponibilità di nuovi volontari, sono diventate sette. Caricano i sacchi a pelo nelle auto, organizzano il percorso. Non portano cibo o bevande calde ma se stessi: un amico che va a far visita a un altro amico per regalargli un sorriso, una parola di conforto, una stretta di mano, al solo scopo di colmare con un po’ di affetto la solitudine di esseri umani che la società preferisce ignorare. Per 365 giorni all’anno percorrono le strade di Roma per incontrare questi “invisibili” nelle stazioni, sotto i ponti, nei parchi, per entrare in contatto con loro, ascoltare le loro storie e costruire un legame di fiducia.

Così è iniziata la relazione con Francesco che ogni sera li attende davanti al Teatro Brancaccio per avere «un passaggio» fino all’ostello Don Luigi di Liegro di via Marsala. Sono appena due chilometri che potrebbe facilmente percorrere a piedi ma lui cerca quel contatto umano, è felice quando li vede arrivare, li accoglie con un sorriso: «Stasera siete in ritardo», dice, ma il suo non è un rimprovero. Da quelle parole traspare la trepidazione con la quale li attendeva. Palermitano, ha circa 50 anni, ama dipingere, scrive brevi poesie, gli piace leggere ed è informato su tutto. Faceva il cameriere, ha lavorato in Svizzera, dove risiedono i due figli, e in Germania dove vive il fratello. Dieci anni fa è venuto a cercare lavoro a Roma, non ha trovato nulla e quasi subito ha iniziato a vivere in strada. Se gli si domanda perché non chiede aiuto ai familiari fa subito un mea culpa: «Guadagnavo bene, ho speso tutto nell’alcool ma ora non bevo più. Loro sanno che vivo in strada e vorrebbero aiutarmi ma io mi sono abituato a vivere così. Sono la vergogna della famiglia e mi sono arreso». Non lo ammette ma dalle sue parole traspare l’imbarazzo di doversi riconoscere un fallito bisognoso di aiuto. «Non vedo l’ora di fare una doccia calda», dice scendendo dalla macchina e salutando tutti allegramente: «Ci vediamo domani, stessa ora stesso posto».

Antonio, poco più di 50 anni, originario di Taranto, dorme su una panchina vicino a piazza Lodi, non lontano da San Giovanni. Quando i volontari arrivano è rannicchiato sotto le coperte ma riconosce subito le loro voci. Si scopre e li saluta stringendo forte la mano di Stefania, un’operatrice della Caritas che conosce da tempo. «Sognavo i miei genitori che vivono a Taranto, mi mancano tanto! Io sono la pecora nera della famiglia», racconta. Un giovane che vive in uno stabile vicino gli porta pasti caldi, abiti e gli ha trovato un lavoro nei pressi di Rieti. «Dovrei iniziare in settimana – spiega -. Devo fare le pulizie nei palazzi e sono contento». Dopo una lunga chiacchierata i volontari lo convincono a trascorrere la notte all’ostello.

Tentativo fallito con Giorgio, rumeno di 44 anni, in Italia da 7. Da una settimana vive in una baracca che si è costruito nel parco di via Bonafede. «Sono un muratore, ho costruito questo rifugio con i materiali che ho trovato – afferma orgoglioso -. Ho coperte, sono al riparo e sono abituato a stare da solo. Preferisco rimanere qui». È felice di avere visite e invita gli operatori a tornare. In Romania ha lasciato la moglie e tre figli di 13, 15 e 17 anni. «Lavoravo in alcune imprese edili – racconta -, avevo un buono stipendio, poi un amico mi ha fatto il lavaggio del cervello, mi ha detto che in Italia si stava bene, che avrei trovato subito lavoro e guadagnato molto per poter vivere io e inviare i soldi a casa assicurando un futuro migliore alla mia famiglia. Ho accettato e per cinque anni ho lavorato, avevo una casa. Poi in pochissimo tempo ho perso il lavoro e la casa, mi hanno rubato i documenti e il telefonino. Non ho notizie della famiglia da circa sei mesi». È ortodosso e tutte le sere prega Dio affinché non si dimentichi di lui. «Il mio unico desiderio è tornare a casa dai miei cari».

Storie che i volontari della Caritas conoscono bene. Matteo, 33 anni, è attivo nel Servizio notturno da oltre 3 anni: «Questo impegno è un dono. Le persone che incontriamo ci insegnano che non dobbiamo dare mai nulla per scontato». Conosceva la 53enne trovata morta la scorsa settimana a Tor Marancia. «Si è sempre rifiutata di andare all’ostello – spiega -, è stato uno choc leggere la notizia della sua morte. Il senso di colpa è stato grande quanto la rabbia». Sei i «clochard» morti per il freddo in Italia, 3 a Roma. Stefania, 34 anni, lavora in Caritas da 7 ed è affezionata a molti senza tetto. «Il contatto su strada è particolare, il nostro obiettivo è far comprendere loro che non sono esseri invisibili ma esseri umani».

23 gennaio 2017