Agnese Moro e Franco Bonisoli, tra giustizia riparativa e ferite risanate

Nella cappella dell’Università Tor Vergata l’incontro tra la figlia del leader Dc ucciso dalle Br e uno dei membri del commando che lo rapì in via Fani, uccidendone la scorta

È possibile un legame di amicizia tra una vittima del terrorismo e il terrorista? Non un terrorista qualsiasi ma proprio quello che è stato causa del tuo dolore. Sì, è possibile, ma solo se sei capace di vedere un uomo dietro a colui che hai sempre considerato un mostro e se dai peso ai tempi verbali distinguendo la persona che “è stata” in passato da quella che “è” nel presente. Lo dimostra l’amicizia nata tra Agnese Moro, figlia di Aldo, presidente della Democrazia Cristiana rapito e ucciso dalle Brigate Rosse dopo 55 giorni di prigionia, e Franco Bonisoli, uno dei brigatisti del commando che rapì lo statista in via Fani uccidendo la sua scorta. Lo hanno raccontato ieri sera, 16 maggio, durante l’evento “Un incontro possibile”, nella cappella San Tommaso d’Aquino dell’Università Tor Vergata. Promossa dalla cappellania, dal Tavolo interculturale di Torre Angela e dal gruppo La Tenda, la serata ha avuto al centro il racconto di un’esperienza di giustizia riparativa, disciplina oggi introdotta nella riforma Cartabia ma poco conosciuta nei primi anni 2000 quando, hanno spiegato Moro e Bonisoli, sotto la guida di padre Guido Bertagna, gesuita che da tempo si occupa di giustizia riparativa, vittime e responsabili della lotta armata degli anni ’70 si sono incontrati nella riservatezza assoluta per sanare le rispettive ferite.

Nonostante Agnese avesse «avuto tutto dalla giustizia penale» che aveva individuato, fermato, processato e condannato i responsabili della morte del suo papà, ucciso quando lei aveva 25 anni, ha sempre dovuto fare i conti con «la dittatura del passato» che le faceva costantemente la tragedia della sua famiglia. «Per tanto tempo – ha raccontato – mi sono sentita un insetto chiuso in una goccia d’ambra. Volevo solo proteggere i miei figli che non avevano vissuto quegli anni. Ma era come se quel passato fosse sempre presente e quella parte recondita di te urla talmente forte da arrivare proprio alle persone che più volevi proteggere». La figlia dello statista ha parlato dei sentimenti di «dolore, rabbia, disperazione, rancore, orrore, disgusto» che l’hanno pervasa per anni, accompagnati dal personale «senso di colpa per non aver riportato» il padre a casa, per quanto la famiglia abbia «tentato di smuovere affinché si facesse qualcosa. Sento il peso di questa sconfitta», ha detto.

Grazie a padre Bertagna è arrivato l’incontro con Bonisoli, inizialmente rifiutato perché «sembrava una cosa troppo difficile». L’ex brigatista andò a trovarla a casa e aveva con sé una pianta, simbolo della vita da curare. «Aveva scontato il suo debito con la giustizia – ha detto Agnese -, non doveva più nulla a nessuno, eppure è venuto a casa mia. Noi vittime del terrorismo siamo un rimprovero vivente per loro. Ho scoperto umanità in una persona che aveva fatto cose mostruose. È stato importante capire che se in passato è stato capace di cose inenarrabili non significa che lo è ora. Credevo – ha proseguito Agnese Moro – che il dolore fosse solo mio, a me era stato tolto un padre. Invece c’è un dolore terribile per l’aver commesso cose mostruose per amore di giustizia».

A tal proposito Franco Bonisoli, in videocollegamento, ha raccontato che all’epoca dei fatti aveva 23 anni e «gli ideali che hanno spinto a fare la lotta armata erano ideali di giustizia. Pensavamo di migliorare il mondo, di farne uno nuovo abbattendo il vecchio». La svolta arrivò grazie al direttore del carcere Le Vallette di Torino e dell’allora cappellano don Salvatore Bussu. «Hanno favorito l’ascolto – ha affermato -, il dialogo, senza mai giudicare. Presi atto di non credere più a quella rivoluzione, ho imparato che la violenza è mortifera, non libera. La logica di guerra che avevo sposato disumanizzava le persone, in carcere invece sentivo parlare di dignità umana». Quindi la decisione di uscire dalla lotta armata, «passo ben più difficile dall’entrarci perché vuol dire ammettere di aver fallito sul piano politico e personale». Gli incontri con le vittime del terrorismo, in particolare con Agnese, hanno «trasformato il senso di colpa in senso di responsabilità». Per questo Bonisoli racconta la sua storia nelle scuole, per dire ai giovani «di stare attenti, la violenza genera altra violenza. Anche quella perpetrata sui social. Porta in una spirale dalla quale non si può più uscire».

La serata, ha detto infine don Francesco Panizzoli, vice cappellano dell’università Tor Vergata, «si sposa con l’intenzione della cappellania di organizzare incontri non strettamente accademici ma umani nei quali c’è un contenuto profondo, vero da trasmettere».

17 maggio 2023