Adolescenti e smartphone: ripensare le scelte educative
L’esortazione arriva da Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva. «Il cervello dei nostri figli non è in grado di gestire la velocità del contesto digitale»
«Prima avviene l’ingresso nel contesto online e il possesso di un device personale, meno si acquisiranno quelle competenze prosociali e sociorelazionali che sono fondamentali nella vita». Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva, non usa giri di parole per denunciare i risvolti di un uso precoce e senza limiti delle tecnologie da parte dei minori. L’occasione è il webinar dal titolo “Vietato ai minori di 14 anni. Sai davvero quando è il momento giusto per dare lo smartphone ai tuoi figli?”, trasmesso ieri, 21 ottobre, sul canale YouTube dell’Istituto di Psicologia dell’Università Pontificia Salesiana, che ne ha promosso l’organizzazione.
Punto di partenza è l’omonimo libro scritto da Pellai insieme alla psicopedagogista Barbara Tamborini, sua moglie. Un manuale che, in maniera semplice e chiara, a partire da evidenze scientifiche e testimonianze, si propone di spiegare le ragioni per cui lo smartphone non è adatto ai bambini e ai preadolescenti: innanzitutto non risponde ai loro bisogni e poi interferisce con la crescita e l’apprendimento. «A ogni età bisogna dare il nutrimento che le è necessario. Le competenze dei nostri figli e studenti vanno sostenute in funzione di ciò che sono in grado di mettere in gioco – ha esordito lo psicoterapeuta, soffermandosi in particolare sulla preadolescenza -. Nella fascia di età 10-14 anni la modalità con cui si trasforma il cervello emotivo, che è quello che vive di sensazioni intense, è molto diversa da quella con cui si trasforma il cervello cognitivo, che invece costruisce significati e prevede le implicazioni delle azioni». Una differenza che riguarda la velocità di maturazione e che spiega il motivo per cui «il cervello di un preadolescente è incapace di attività autoregolative intense e di autodirezionare il suo percorso verso lo sforzo cognitivo».
Considerazioni che portano a interrogarsi sull’uso didattico delle tecnologie: «L’enorme entusiasmo tecnologico che ha rivoluzionato gli strumenti nella scuola non si è tradotto in un incremento dell’apprendimento reale: i soggetti in età evolutiva sono infatti quelli meno dotati di capacità di letto-scrittura – ha proseguito Pellai nel corso del webinar, moderato dallo psicologo Alessandro Ricci -. Il cervello dei nostri figli non è in grado di supportare la velocità con cui le cose accadono nel contesto digitale, dove l’esperienza si frammenta». Da qui l’invito a ripensare le scelte educative rispetto all’accesso a internet e al possesso di uno smartphone: «Noi adulti dobbiamo domandarci se l’uso personale del device determina un impatto positivo sulla salute del ragazzo: tra qualche anno saremo compensati – ha commentato, rispondendo a chi gli ha chiesto come gestire il rischio di emarginazione dal gruppo -. Dietro tutto ciò, c’è una imposizione del sistema di mercato». Questa ha determinato, tra le altre cose, un’adultizzazione precoce dell’infanzia anche nell’ambito delle serie televisive, soprattutto in quelle la cui visione è vietata ai più piccoli: «Nelle fiabe c’era un narratore capace di cogliere la perturbazione provata – ha spiegato -. Dentro queste narrazioni, invece, c’è uno schermo che va a velocità intensa e che propone immagini a forte impatto emotivo, difficili da significare». Dunque, mai come oggi gli adulti sono chiamati «a sostenere la crescita dentro un territorio che è fatto anche di dimensione del limite e di tolleranza alla frustrazione».
Dello stesso parere anche Zbigniew Formella, professore della Salesiana, chiamato a tirare le fila dell’incontro: «Tutti coloro che hanno a cuore il futuro di bambini e ragazzi devono partecipare in maniera attiva e responsabile a una loro crescita sana».
22 ottobre 2021