Addio a Paolo Rossi, “eroe” dell’Italia di Bearzot

Il campione del mondo nel Mundial spagnolo del 1982 era malato da tempo. Protagonista nella finalissima al Bernabeu contro la Germania, fuoriclasse con garbo, in campo e fuori

Se n’è andato in silenzio. A soli 64 anni. Lui parlava con i gol, li faceva “di rapina”, dicevano, come quel 2-0 sul Brasile in una partita consegnata alla storia, nei Mondiali del 1982. Paolo Rossi, nato a Prato, non c’è più; l’«eroe» dell’Italia di Bearzot era malato da tempo. Scompare pochi giorni dopo Maradona, oggi, 10 dicembre, quasi senza disturbare. La sua carriera – durata meno di altri campioni, costellata da diversi incidenti, segnata da un coinvolgimento nella vicenda del “calcioscommesse” poi finita con un proscioglimento -, iniziata con il Lanerossi Vicenza, proseguita con il Perugia, esplosa con la Juve, continuata con il Milan e conclusa con il Verona, è riassunta tutta lì, in quelle settimane tra giugno e luglio 1982. Ci sembra ancora di vederlo con le braccia alzate e di sentire ancora la voce di Nando Martellini, con le sue telecronache di quelle ultime partite decisive del Mundial spagnolo che infinite volte hanno replicato e che infinite volte abbiamo visto in tanti.

Sembrava un’Italietta, con un esordio deludente, poi fu il silenzio stampa. E l’inattesa esplosione. L’Italia, quella dei tifosi, in un Paese che viveva ancora sotto l’incubo del terrorismo (a gennaio la liberazione del generale Dozier) e delle stragi di mafia (ad aprile l’assassinio di Pio La Torre a Palermo), vive una scossa. Prima la partita con l’Argentina, poi il Brasile, quindi la Polonia in semifinale, infine la Germania nella finalissima al Bernabeu di Madrid. E noi, in milioni, a tifare e a soffrire. Poi, pian piano, a crederci sempre di più. E lui, Paolo Rossi, così minuto rispetto ad altri calciatori, sempre lì, da protagonista. Bearzot, il “condottiero” di quella Nazionale (così lo definì il Pablito Mundial), l’aveva aspettato per quell’evento, anche se molti, addetti ai lavori e tifosi, rimasero sorpresi per quella scelta, e non mancarono le critiche nella prima fase del Mondiale. Ma poi arrivò la svolta.

La seconda fase inizia con l’Argentina, dall’altra parte c’è Maradona, il “mito”. Bearzot gli piazza Gentile alle calcagna e riuscirà nell’intento di bloccarlo. Azzurri in vantaggio con Tardelli, raddoppio di Cabrini. Contropiede, velocità, compattezza, precisione nella realizzazione, ed è fatta. Poi il Brasile, sembrava un’impresa impossibile.

Farà bene rivedere quei gol di 38 anni fa. Il primo ai danni del Brasile è un capolavoro di squadra che inizia con Conti, un campione che nascondeva la palla agli avversari, cross puntuale per Cabrini, e da lì in area, dove c’era lui, la testa del Pablito, che grazie a quel gol e a tanti altri conquista quell’anno anche il Pallone d’Oro. Il 2-0 al Brasile, dopo il pareggio di Socrates, è “di rapina”, cioè intelligenza soprattutto, saper stare al posto giusto nel momento giusto, intuire le mosse di chi hai di fronte, e accade così dopo un errore di Junior. Il colpo definitivo, dopo il pari siglato da Falcao, ancora grazie a una posizione intelligente, a ridosso della porta, su azione d’angolo. Martellini, nella telecronaca, è vinto dall’emozione, si confonde e dice «ed è pareggio». Ma è tripletta. Ed è vittoria. Nell’azione del quarto gol (poi annullato per fuorigioco ad Antognoni), Rossi è ancora lì, in avanti, instancabile, a proporre un assist dalla destra.

Passa qualche giorno, semifinale con la Polonia. Ancora due gol del Pablito. Punizione di Antognoni, palla in area, ecco Rossi, è rete. Cambio campo, cavalcata di Bruno Conti sulla fascia sinistra, cross in area, e Pablito è lì, a insaccare con la testa, solo davanti alla porta, col portiere fuori gioco. I compagni lo sommergono di abbracci. «Si trovava queste pallette che non era difficile buttarle dentro», raccontava Conti. E Rossi disse: «Ho visto arrivare questo cross e sopra il pallone c’era scritto “basta spingere”». Un omaggio al lavoro della squadra.

Poi la serata della finale, 11 luglio 1982. I maxischermi non ci sono ancora, si tifa nelle case e si condivide il chiasso del Bernabeu. Comincia male, con Graziani costretto a uscire dal campo dopo 7 minuti e con Cabrini che sbaglia un rigore. Ma Pablito non manca neanche questa volta all’appuntamento. Cross di Gentile da destra, Rossi segna di testa. Attenzione al secondo gol: rivedere l’azione dall’inizio. Rossi è in difesa, recupera un pallone a Breitner e parte il contropiede. Scirea supera la metà campo, poi Conti, poi rieccolo Pablito velocissimo, riprende il pallone, Scirea che di tacco serve Bergomi, ancora Scirea, passaggio a Tardelli. Pablito intanto è in area, caso mai dovesse accadere qualcosa. Ma il tiro di Tardelli va in rete, e parte l’urlo liberatorio. Altobelli, subentrato a Graziani, sigla il terzo gol. La Germania accorcia le distanze ma quella sera non c’è partita. Martellini urla tre volte “Campioni del mondo”. Il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, esulta dalla tribuna del Bernabeu e con lui tutta l’Italia.

Eccolo lì, Paolo Rossi, con le braccia alzate. Ricordiamolo così. Campione in campo e fuori, con il suo stile, garbo e gentilezza. La sua autobiografia si intitolava “Ho fatto piangere il Brasile”. Ed era vero. Lasciato il terreno di gioco, partecipò anche a progetti di solidarietà. Ora, che è uscito dal campo in silenzio, il mondo del calcio lo piange. E anche tutti quelli che ricordano la notte del Bernabeu.

10 dicembre 1982