Acs: il governo istituisca la carica di Inviato speciale per la libertà religiosa

La richiesta alla luce del Rapporto 2021 sulla situazione nel mondo: violazioni «molto gravi» in 62 Paesi su 196. L’impatto della pandemia di Covid-19

La fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) chiede al governo italiano di «istituire la carica di Inviato speciale per la libertà religiosa, sia per assumere un ruolo identificabile e incisivo a livello internazionale, sia per confermare che il diritto di professare liberamente la fede religiosa, riconosciuto dall’art. 19 della Costituzione italiana, non è circoscritto nell’ambito dei confini nazionali ma, al contrario, deve essere promosso in ogni sede internazionale, nazionale e locale, quale diritto inviolabile di ciascuno».

La richiesta, avanzata dal presidente Alfredo Mantovano e dal direttore Alessandro Monteduro, arriva alla luce del Rapporto 2021 della fondazione sulla libertà religiosa nel mondo, che registra violazioni «molto gravi» della liberà religiosa in 62 Paesi su un totale di 196. Il che significa che «il 67% circa della popolazione mondiale, pari a circa 5,2 miliardi di persone, vive in nazioni in cui tale diritto umano è seriamente minacciato», rimarcano. Per quanto riguarda il continente africano, nell’analisi di Acs, la causa principale sta nella «progressiva radicalizzazione del jihadismo, specie nelle aree sub-sahariana e orientale». Violazioni della libertà religiosa si sono verificate nel 42% delle nazioni africane; Burkina Faso e Mozambico rappresentano due casi eclatanti. «Questa radicalizzazione non si limita all’Africa – proseguono i due responsabili della fondazione -. È infatti in atto un consolidamento di un network islamista transnazionale che si estende dal Mali al Mozambico, dalle Comore nell’Oceano Indiano alle Filippine nel Mar Cinese Meridionale, il cui scopo è creare un sedicente califfato transcontinentale».

Anche la persecuzione religiosa da parte dei governi autoritari si è intensificata. «La promozione della supremazia etnica e religiosa in alcune nazioni asiatiche a maggioranza indù e buddista ha contribuito a intensificare l’oppressione ai danni delle minoranze, riducendone spesso i componenti a livello di cittadini di seconda classe». Il caso più eclatante: l’India, anche se «tali politiche vengono applicate pure in Pakistan, Nepal, Sri Lanka e Myanmar». Ancora, non è da sottovalutare, evidenziano Monteduro e Mantovano, il «profondo impatto» della pandemia di Covid-19 sul diritto alla libertà religiosa. «A fronte di una tale emergenza i governi hanno imposto misure straordinarie, applicando in alcuni casi limitazioni sproporzionate al culto religioso, specie se confrontate con quelle imposte alle attività secolari». Ci sono stati anche Paesi, come Pakistan e India, in cui gli aiuti umanitari sono stati negati alle minoranze religiose. Altrove, «la pandemia è stata inoltre utilizzata specie nei social network quale pretesto per stigmatizzare alcuni gruppi religiosi accusati di aver diffuso o addirittura causato la diffusione dell’infezione».

«Esitante e tardiva», nell’analisi di Acs, la reazione delle istituzioni nazionali e internazionali, «anche se vi sono segnali positivi». Il 28 maggio 2019, ad esempio, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione per istituire il 22 agosto come Giornata internazionale di commemorazione delle vittime di atti di violenza basati sul credo religioso. La proposta è arrivata dalla Polonia con il sostegno di Stati Uniti, Canada, Brasile, Egitto, Iraq, Giordania, Nigeria e Pakistan. «A ciò si aggiunga l’Alleanza internazionale per la libertà religiosa promossa dagli Stati Uniti, la creazione di un Segretariato di Stato per la persecuzione cristiana in Ungheria e l’istituzione o la riattivazione della carica di Ambasciatore per la libertà religiosa e la fede in un numero crescente di nazioni, quali Danimarca, Paesi Bassi, Stati Uniti, Norvegia, Finlandia, Polonia, Germania e Regno Unito». Di qui la richiesta analoga rivolta al governo italiano.

4 maggio 2021