A Torpignattara la preghiera contro ogni violenza

Nel cortile della parrocchia di San Barnaba 300 persone si sono riunite per ricordare Shahzad, il giovane pakistano ucciso per le strade del quartiere. Il vescovo Marciante: «Qui non ci sono stranieri ma fratelli»

«Non usiamo più la parola “straniero” o “extracomunitario”, ma “fratello”. Così si chiamano tra loro i cristiani». Parte dall’uso di un nuovo linguaggio il vescovo Giuseppe Marciante, ausiliare per il settore Est, nell’omelia pronunciata venerdì 26 settembre, durante la veglia di preghiera per ricordare Khan Muhammad Shahzad, il giovane pakistano ucciso la notte del 18 per le strade del quartiere di Torpignattara. Accusato del delitto è un giovane 17enne della zona. La veglia è stata organizzata nel cortile della chiesa di San Barnaba, con la collaborazione della Comunità di Sant’Egidio e di altre due parrocchie vicine, Santa Giulia Billiart e Santi Marcellino e Pietro. Circa 300 le persone presenti, che hanno voluto rendere così la loro testimonianza e dire no alla violenza, in un quartiere sempre più multietnico, nel quale si sente forte l’assenza delle istituzioni. Una serata di preghiera per il giovane pakistano organizzata già prima del corteo che qualche giorno fa ha attraversato le strade del quartiere in segno di solidarietà per il presunto autore dell’aggressione.

Tra i presenti anche il cugino della vittima, Aziz, che ora chiede solo di riportare a casa il corpo di Shahzad. «Era una persona tranquilla – ha dichiarato -. Era qui per lavorare, doveva mandare i soldi a casa. Ha un figlio di tre mesi che non ha mai visto. Voleva tornare in Pakistan per poterlo finalmente abbracciare. Recentemente aveva perso il lavoro ma non era un barbone, un ubriacone: non ha mai bevuto in vita sua. Abbiamo ricevuto tanta solidarietà – ha concluso Aziz, che dal pulpito ha ricordato la figura di suo cugino -. La violenza è sempre sbagliata e rovina la vita di tutti». Ai partecipanti è stato consegnato un foglio con il racconto di chi era Shahzad, per farlo conoscere.

«La tensione c’è, è palpabile – dice Anna, che vive da sempre a Torpignattara -: è vero ci sentiamo abbandonati, senza sicurezza, ma l’integrazione c’è. Dobbiamo affidare a Dio la nostra preghiera per chiedere la pace». «Qui si viaggia a due velocità – dice Gabriele, anche lui della zona -: da una parte c’è integrazione, dall’altra intolleranza. Due fronti contrapposti, ma essere qui oggi significa volere trasformare questa rabbia in qualcosa di positivo. È vero, – continua -, ci sono delle differenze culturali, che devono però essere accettate per poter andare avanti uniti». Per Maurizio, anche lui da anni nel quartiere, «ci sono delle regole ma non tutti le rispettano. Questo crea malcontento che nei casi più gravi sfocia poi in episodi di violenza».

Durante la sua omelia monsignor Marciante ha voluto ricordare le parole di Papa Francesco sui migranti: «Le inarrestabili migrazioni ci sollecitano a rafforzare la convivenza armonica tra persone e culture differenti», ha ricordato. Quindi, tornando sul nuovo linguaggio da usare, ha detto: «Dobbiamo portare nel nostro quartiere la cultura del dialogo e dell’incontro, accogliere le differenze come un arricchimento. Le cattive parole transitano cattivi pensieri – ha concluso – che scatenano cattivi sentimenti, che portano poi ad azioni cattive». Il vescovo ha ricordato anche che già una volta il quartiere si è raccolto in preghiera: quando a perdere la vita fu un cittadino cinese e sua figlia di tre anni, la piccola Joy, uccisi da due rapinatori.

Alla fine della veglia un corteo silenzioso ha attraversato le strade che separano la parrocchia di San Barnaba da via Pavone, luogo dell’aggressione, fermandosi nel punto dove è stato ucciso Shahzad. Qui è stata lasciata una corona di fiori arricchita da piccole rose bianche portate una alla volta da gruppi di giovani e ragazzi. Un modo per dire no alla violenza e all’intolleranza. In cammino verso l’integrazione e la fratellanza.

29 settembre 2014