A San Bartolomeo la veglia di Sant’Egidio per i martiri contemporanei

Raccogliendo l’invito della Cei, la Comunità si è raccolta nella basilica memoriale dei martiri del XX e XXI secolo. Sull’altare il messale di Oscar Romero

Raccogliendo l’invito della Cei, la Comunità si è raccolta nella basilica memoriale dei martiri del XX e XXI secolo. Sull’altare il messale di Oscar Romero

Nella giornata di preghiera dedicata ai martiri del nostro tempo, sabato 23 maggio, la Comunità di Sant’Egidio ha accolto l’invito della Cei raccogliendosi nella basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, affidata alla Comunità da Papa Giovanni Paolo II e dedicata per volontà del pontefice polacco alla memoria dei martiri XX e del XXI secolo, testimoni che ancora oggi donano la vita per il Vangelo. Sotto l’altare il corpo di san Bartolomeo apostolo, in ogni cappella il ricordo dei testimoni contemporanei della fede da tutto il mondo, vittime del nazismo, del comunismo, e perseguitati dalle ideologie; dietro l’altare l’icona dove sono raffigurati i martiri della tradizione non solo cattolica ma cristiana, nello spirito ecumenico che caratterizza la Comunità di Sant’Egidio.

Sull’altare, tra le altre reliquie, è stato esposto durante la celebrazione il messale dell’arcivescovo Romero, custodito nella basilica, aperto alla pagina nella quale si trovava durante la messa nella quale venne ucciso, e che proprio il 23 è stato beatificato. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità, ha espresso il significato della giornata: «I martiri hanno creduto in Gesù e dalla loro vita è scaturita vita, esempio e volontà di fare il bene. Oggi per noi scaturisce il desiderio di svegliarci dal sonno, di non essere sempre storditi dall’amore per noi stessi e di guardare a tanti casi di oppressione, di mancanza di libertà, che tante persone vivono nel nome di Gesù. In questa chiesa – ha continuato – troviamo tante testimonianze. Ne abbiamo raccolte alcune sull’altare dove sono le reliquie di san Bartolomeo». Le reliquie di monsignor Maloyan, ucciso nel genocidio armeno, le memorie di padre Mien, ucciso in Russia, la stola di don Pino Puglisi ucciso dalla mafia, del «nostro fratello Floribert» martire in Congo. Infine il messale dell’arcivescovo Romero. «Qui c’è qualcosa di profondo, la profondità di una forza che ci interroga: quella di coloro che non hanno salvato a tutti i costi la loro vita ma hanno resistito con forza al male e all’istinto di salvarsi – ha commentato il presidente di Sant’Egidio -. Qui percepiamo che la Chiesa è abitata da una grande forza d’amore e di fede. È la chiesa di cui siamo figli».

«Non siamo tristi – ha continuato Impagliazzo -: queste testimonianze ci parlano di una vita più forte della morte, della modestia, dell’avarizia, della piccolezza e oggi, particolarmente oggi, siamo presi da una grande gioia per l’avvenuta beatificazione del vescovo Romero». Guardando alla sua vita e a quella dei nuovi martiri «capiamo la necessità di essere forti, di non perderci d’animo, di fare della perseveranza nella fede del Vangelo il cuore della nostra vita. I nuovi martiri con la loro fedeltà ci parlano di un modo di essere cristiani fedele e forte, pure nella debolezza».

La partecipazione della comunità alla gioia della beatificazione è stata testimoniata da Andrea Riccardi, fondatore di Sant’Egidio, intervenuto con una delegazione alla cerimonia a San Salvador. Don Angelo Romano, rettore della basilica, ha spiegato: «La storia di Romero l’abbiamo accompagnata sin dall’inizio. Questa beatificazione è un tesoro prezioso per tutta la chiesa. Monsignor Romero fu ucciso in odio alla carità. La sua è stata una predicazione veramente ancorata ai principi fondamentali di un vescovo che dà la vita per il suo gregge. Le testimonianze dei nuovi martiri, che noi vediamo giungere da ogni parte del mondo, sono storie di cristiani perseguitati per la loro fede e per come vivono la loro fede. Sono persone che si espongono ai pericoli proprio per amore della propria gente, della propria Chiesa. Per amore di Gesù».

25 maggio 2015