A Roma il tango di Miguel Angel Zotto

Il tanguero di origini lucane apre con Daiana Guspero le Giornate della Danza di Roma organizzate da Accademia Filarmonica Romana e Teatro Olimpico

«Il tango mi ha salvato la vita». Origini lucane, soprannominato “El Maradona del parquet” dal quotidiano francese Libération, Miguel Angel Zotto è uno dei tangueri più conosciuti al mondo. L’Accademia Filarmonica Romana lo ospita a partire dal 15 ottobre per il nuovo spettacolo “Te siento… Tango”, ispirato al suo omonimo libro sulla storia del ballo argentino . Un omaggio al “pensiero triste che si balla” e – fra i tanti storici ballerini citati – a Carlos Alberto Estévez “Petroleo”, uno dei massimi bailarinos che hanno influenzato la vita, non solo artistica, di Zotto. Per il primo appuntamento delle “Giornate della Danza di Roma” che la Filarmonica organizza insieme al Teatro Olimpico, accanto a Zotto sul palco sale anche la giovane compagna d’arte e di vita Daiana Guspero, i ballerini della compagnia Tangox2. Il tutto accompagnato dalla musica dal vivo di Tango Sonos. Lo spettacolo – che sarà in scena nella Capitale fino al 27 ottobre per poi proseguire nelle città di Bari, Genova e Verona – svela «cosa succede alle persone quando ballano». Un percorso musicale e coreografico che metterà in scena anche alcuni passaggi autobiografici. «Ad esempio – ricorda Zotto – parlo della repressione in Argentina e del perché il tango mi ha salvato la vita: avevo 17 anni quando sono stato arrestato e torturato. Volevano ammazzarmi ma, non so perché, ad un certo momento mi sono messo a cantare un brano di tango. A quel punto uno di quei balordi, l’unico con capelli e barba bianca, ha voluto proteggermi. Io ero un ragazzo e per me lui era l’angelo mandato da Dio. Fui nei guai anche nel 1976, quando ci fu il colpo di Stato. Ancora una volta mi salvai grazie al tango. Non poteva essere un caso. Così ho deciso di imparare a ballare e nel 1985 ho debuttato professionalmente».

miguel angel zottoNegli anni, Miguel Angel Zotto ha contribuito a dare onore al tango, osteggiato fino ad allora da una certa intellighenzia a causa della sua sussurrata sensualità. Nominato nel 1993 “Académico de Honor” della Academia Nacional del Tango di Buenos Aires, con i colleghi ha fatto richiesta all’Unesco per un riconoscimento ufficiale della danza simbolo del Paese sudamericano. Nel 2009 arrivò la risposta positiva dell’organizzazione internazionale che così motivò la decisione di dichiarare il tango patrimonio culturale immateriale dell’umanità: «Il tango è un esempio del processo di sedimentazione culturale» e «di trasformazione sociale nel tempo, incarna e incoraggia sia la diversità culturale che il dialogo». Superato lo scoglio di una presunta impudicizia, ora il tango è nel mirino di un collettivo femminista nato nell’ambito del movimento “Not one less” che si batte contro il supposto “machismo” di questo ballo. «Se è vero che alcuni uomini sono prepotenti e che, sopravvalutandosi, mettono a disagio una donna che non sa dire di no a una proposta di ballo, ciò non vuol dire – chiarisce Daiana Guspero – che il tango sia maschile. Vuol dire invece coppia, all’interno della quale, come nella vita, nessuno dei due partner deve prevalere sull’altro». In fondo «il tango – annota Zotto nel suo libro – è un ponte per ritrovarsi, per sentirci l’uno per l’altro. Il tango è una mano invisibile che ci salva dal rumore per offrirci il suono del cuore».

Miguel Angel, lei ha mai insegnato a un divo del cinema a ballare, magari per poter recitare una scena in cui era previsto il tango?
Ho insegnato al Premio Oscar Robert Duvall, che ho poi portato con me a Buenos Aires ed è finita che lui ha sposato un’argentina. A miei spettacoli, durante le tournées negli Stati Uniti dal 1985 al 1990, venivano però anche attori del calibro di Willem Dafoe, John Travolta, Anthony Queen e tantissimi altri ancora.

Nel 2012 si volta pagina e decide di trasferirsi in Italia.
Si, esattamente a Milano. Io e Daiana siamo rimasti stupiti dalla burocrazia e dal tempo lunghissimo necessario per avere dei documenti. Al piano inferiore del palazzo in cui gestiamo una scuola di tango, ad esempio, abbiamo deciso di aprire un ristorantino tipico, con pochissimi tavoli e dove si mangia solo carne fatta arrivare appositamente dall’Argentina. Ci sono voluti sei mesi per un’autorizzazione. È pazzesco. Per il resto gli argentini sono molto simili agli italiani. Anzi, diciamo che l’Argentina deve tutto agli italiani che hanno esportato cultura, arte, musica e architettura. Un’altra cosa che ci ha sorpreso è che la gente non ti saluta mentre in Argentina i rapporti umani sono più caldi. Noi però  ce la mettiamo tutta: salutiamo gli allievi con uno o più abbracci e poi i baci, le strette di mano. Prima di tutto siamo persone, poi medici, avvocati o chissà cos’altro. Comunque crediamo che tutti questi abbracci funzionino perché fino ad oggi dalla nostra scuola son venuti fuori 7 matrimoni.

Daiana, a proposito di abbracci, lei ha un episodio divertente da raccontare.
In occasione del concerto di Natale in Vaticano, nel 2018, siamo stati in udienza dal Papa. Al momento dei saluti, quando è arrivato il mio turno ho chiesto al Santo Padre, che sapevo essere amante del tango, se potevo abbracciarlo con un “abrazo tanguero”. Francesco ha sgranato gli occhi stupito e sorridendo mi ha risposto: “Certamente”. Nel protocollo che ci hanno fatto leggere c’era scritto che non si poteva fare questo o quello, ad esempio baciare la mano del Papa, ma non c’era scritto che non si poteva abbracciarlo “tangueramente”.

Zotto, che ricordo ha invece lei dell’incontro con il Papa?
È stato emozionante. Siamo stati i secondi nella storia a ballare davanti a un Papa, dopo che Casimiro Aìn lo fece nel 1923 dinanzi a Pio XI. Il Santo Padre mi conosceva, sapeva di me. Anche perché quando ero in Argentina proposi al suo segretario di poter aprire una scuola di ballo in un locale di una chiesa sconsacrata. Mi fu riferito che il Papa fu entusiasta dell’idea e che avrei potuto avere il locale in affitto ad un prezzo bassissimo. Altro momento vissuto da entrambi fu nel 2000, al Palazzo Presidenziale, dove ci fu una cerimonia durante la quale venivano assegnati dei riconoscimenti. Uno di questi andò proprio a Bergoglio perché aveva favorito l’ingresso della musica nelle chiese dove, ancora oggi, si celebra cantando e suonando la chitarra.

11 ottobre 2019