A 30 anni dalle bombe a San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro

Nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1993 due auto-bomba di Cosa nostra, a pochi minuti di distanza l’una dall’altra, provocarono gravi danni alle chiese e al Palazzo Lateranense. Le visite di Papa Giovanni Paolo II e la celebrazione con il cardinale Ruini

Mezzanotte, l’ora delle bombe. È la notte tra martedì 27 e mercoledì 28 luglio 1993, quando la basilica di San Giovanni in Laterano e la chiesa di San Giorgio in Velabro – a pochi passi dal Campidoglio – vengono gravemente danneggiate, a pochi minuti di distanza, da due autobomba collocate da Cosa nostra. Anche il Palazzo del Vicariato subisce gravi danni. È passato un anno dagli attentati di Capaci e di via D’Amelio che sono costati la vita a Giovanni Falcone e a Paolo Borsellino e alle rispettive scorte; sono trascorsi quasi tre mesi dal grido di Giovanni Paolo II contro la mafia in Sicilia, nella Valle dei Templi.

Quella notte a Roma tutto ha inizio meno di un’ora dopo l’autobomba esplosa a Milano, in via Palestro, alle 23.14, davanti al Padiglione di Arte Contemporanea, che ha provocato 5 morti. A seminare rovina nella Capitale è un’altra autobomba, parcheggiata nell’angolo tra il Palazzo Lateranense e la testata del transetto della basilica di San Giovanni. Un boato improvviso, poi una nuvola di fumo. È la “notte delle bombe”. Danni agli intonaci e agli affreschi dei portici della facciata posteriore, alle cancellate, alle porte d’accesso, all’organo da poco restaurato, e non solo. Molto evidenti le ferite al palazzo del Vicariato: finestre divelte, uffici devastati, vetrate interne in gran parte distrutte. L’effetto della potentissima carica di esplosivo – che lascia una voragine profonda circa 5 metri – raggiunge l’abitazione annessa alla basilica, il Battistero, la canonica capitolare, alcuni palazzi annessi all’Università Lateranense e anche alcune stanze del vicino ospedale di San Giovanni, invase dai detriti. Dell’auto carica di esplosivo non resta praticamente nulla. Nessuna vittima, ma è sconvolgente la distruzione apportata. Solo alcuni feriti, a cominciare dal gendarme vaticano Marcello Lombardo, che stava per riaprire il portone del Vicariato dopo aver terminato il controllo interno di routine.

auto bomba, attentato mafioso, san giorgio al velabro, 27-28 luglio 1993Nessuna vittima neanche per l’attentato accanto a San Giorgio in Velabro, a due passi dai Fori, dove esplode un’altra autobomba pochi minuti dopo, provocando un cratere di circa due metri. Il portico crolla quasi del tutto, gravissimi i danni ad altre parti del luogo di culto. Anche qui, i danni si estendono agli edifici vicini, a partire dall’attiguo convento: porte scardinate, infissi divelti, vetri frantumati. Tra i due attentati si contano 22 feriti. Il Tg1 lancia un’edizione straordinaria.

Tanti cittadini raggiungono piazza San Giovanni in Laterano: alla paura si unisce il desiderio di vedere di persona le ferite inferte al cuore di Roma. Tra le autorità, il Capo della Polizia è il primo a recarsi sul posto (come farà anche al Velabro), seguito dal Procuratore nazionale antimafia. Il Tg1 riesce a strappare alcune parole a un testimone oculare che avrebbe visto arrivare due auto nella piazza e parcheggiarne una mentre l’altra ripartiva a tutta velocità. La seconda auto sarà ritrovata poco più tardi a qualche chilometro di distanza. Massiccia la presenza delle forze dell’ordine in tutto il centro. Per i romani è difficile dormire in quella che i giornali definiscono la “notte del terrore”. Alle 3 si riunisce il Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza con il premier Ciampi. Al mattino, chi in Vicariato cammina fra i vetri e i detriti nota l’orologio dell’Ufficio amministrativo, ora come allora al piano terra del Palazzo Lateranense, a destra dell’ingresso, fermo alle 0.06. Roma è scossa.

Papa Giovanni Paolo II, al termine dell’udienza generale, esprime il suo profondo dolore per i «vili attentati» che «hanno colpito Milano e il cuore della Roma cristiana. Questi efferati crimini, per nessuna ragione giustificabili, sono sempre motivo di vergogna per chi li pianifica e per chi li esegue. Non è col disprezzo per Dio e per l’uomo che si costruisce una società umana e civile». Poco dopo mezzogiorno, Wojtyla si reca in visita alla “sua” cattedrale e alla sede della Curia diocesana, e poi a San Giorgio in Velabro, accompagnato dal presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro. Venerdì 30 luglio, in serata, la comunità diocesana si stringe nella preghiera attorno al cardinale vicario Camillo Ruini per testimoniare la sua solidarietà dopo gli attentati: una celebrazione eucaristica sul sagrato della cattedrale “ferita”. Nelle settimane successive vengono lanciate tre sottoscrizioni: dal Vicariato, da Avvenire e dall’Azione cattolica. La Chiesa è unita contro il terrore della mafia.

19 luglio 2023