La poesia “dantesca” di Damiani

L’ultima raccolta, Prima di nascere: 11 sezioni liriche di grande intensità, a sentenziare da una parte l’inevitabile finitudine umana, dall’altra la singolare letizia che tale condizione ci dona

La poesia di Claudio Damiani (1957, San Giovanni Rotondo) è cresciuta negli anni, a partire da Fraturno (1987), come una pianta rampicante attaccata alla parete del vecchio casolare di fianco all’orto, fedele a se stessa, nella ricercata “difficile facilità”, cantando gli amori di quando eravamo giovani e le nostre fidanzate si presentavano agli appuntamenti con le “cinquecentine”,  augurandoci che il tempo scivolasse via senza ferire, nell’Italia povera, agreste, fra gatti e galline, col sole caldo sul fico della fortezza e i bambini, meravigliosi eroi pronti a ricominciare, chiamati a compiere l’atto supremo della vita: biciclette appoggiate al muro, impiegati dai pantaloni larghi che durante l’intervallo del pranzo mangiano pane, pecorino e cipolla.

È un mondo, quello di Claudio, in cui gli alberi e le montagne non possono parlare ma sanno tante cose che noi neppure immaginiamo. Il candido Soratte oraziano fa la guardia con Petrarca e Pascoli quali riferimenti assoluti, in grado di proteggere lo stile dalle intrusioni simboliste e da ogni arroganza e superbia di matrice ermetica. C’è l’Isola d’Elba con la miniera dove circola ancora il fantasma del padre. Senza mai dimenticare Beppe Salvia, l’amico poeta che si suicidò nel 1985 alla vigilia di Pasqua a soli trent’anni.

In Cieli celesti (2016) leggevamo: «Ma se tutto è in relazione con tutto / e noi senza le parti remote / dell’universo non potremmo essere, / se ogni cosa esiste in relazione alle altre, / e non da sola, / allora anche il tempo presente / è in relazione al passato e al futuro / e non potrebbe esistere senza di loro / e quindi il passato e il futuro / esistono, in qualche modo, anche ora, / e tutti i morti e tutti i non nati / esistono ancora, esistono già ora». L’ultima raccolta, Prima di nascere (Fazi, 2022), ricomincia proprio da questa riflessione agostiniana. Undici sezioni liriche di grande intensità nell’estrema leggerezza del dettato a sentenziare da una parte l’inevitabile finitudine umana, dall’altra la singolare letizia che tale condizione ci dona. Una semplicità che va riconquistata giorno per giorno, ora per ora, lavorando sul ritmo, sull’abitudine, sulla ripetizione di azioni, emozioni e parole. Dove saranno adesso i nostri genitori scomparsi? Siamo tutti davvero, come ammonisce il salmista, bestie da macello? Oppure ci ritroveremo?

«Pensa se fosse così: / che noi, mentre stiamo facendo una cosa / comunissima, tipo portare una cosa / sopra un tavolo, oppure cercarla / e ecco aprirsi una porta, e nella stanza / ci sono tutti! è una stanza immensa / e ti salutano gioiosi e applaudono / come un compleanno a sorpresa…».

Considero Claudio Damiani il più religioso fra i poeti contemporanei italiani. In senso antico, dantesco: «Il mistero è così fitto / e noi così fragili / che non ci sono speranze / o meglio, possono esserci solo speranze / la speranza è la nostra scienza».

14 febbraio 2022