Claverie e i monaci di Tibhirine, “Testimoni nei punti di rottura”

A 25 anni dal martirio, la Messa con il vescovo Ambarus a San Giuseppe Artigiano. Padre Monge: «Segno disarmante di un Dio disarmato»

Il martire, dal greco mártys , “testimone”, non è solo colui che offre la propria vita per il Vangelo. C’è il martirio del sangue, suprema testimonianza a Dio, ma c’è anche il martirio “bianco” quello delle «piccole fatiche del quotidiano, quello dei piccoli passi nascosti, discreti, conosciuti solo da Dio» al quale tutti siamo chiamati. In questo tempo in cui la pandemia ha allargato la forbice tra ricchi e poveri, siamo interpellati a vivere anche «il martirio della carità» volgendo lo sguardo verso i più vulnerabili, prendendo a cuore situazioni «profondamente ingiuste, come lo sfratto di due coniugi ottantenni, di cui uno disabile». Le parole del vescovo Benoni Ambarus, delegato diocesano per la Carità e la pastorale dei migranti, sono risuonate ieri sera, mercoledì 15 dicembre, nella parrocchia di San Giuseppe Artigiano a via Tiburtina, dove ha presieduto la celebrazione eucaristica in occasione del 25° anniversario del martirio di monsignor Pierre Claverie e dei sette monaci trappisti del monastero di Tibhirine, in Algeria. Solo poche ore prima della Messa il presule aveva appreso la notizia dello sfratto dei due anziani, al momento ospitati in un albergo. «Dobbiamo pregare affinché il Signore smuova le coscienze, consoli i cuori e aiuti a riconoscerLo negli ultimi – ha detto -. Siamo chiamati a eliminare ogni forma di male».

Tra il 1994 e il 1996, durante la guerra civile in Algeria, furono assassinati 13 religiosi e sei religiose appartenenti a otto congregazioni differenti. Tra loro monsignor Pierre Claverie, dell’ordine dei Frati predicatori, vescovo di Orano, ucciso il 1° agosto 1996 con il suo autista musulmano di 22 anni, Mohamed Bouchikhi, e i sette monaci di Tibhirine, i cui resti furono ritrovati il 25 maggio 1996, due mesi dopo il rapimento. Testimoni «straordinari che hanno incoronato la loro esistenza» condannando ogni forma di violenza, ha rimarcato Ambarus. I 19 martiri sono stati proclamati beati l’8 dicembre 2018.

Sulla figura di monsignor Pierre Claverie si è soffermato in particolare il domenicano padre Claudio Monge, responsabile del Centro culturale domenicano Dosti di Istanbul, autore, con Gilles Routhier, del libro “Il martirio dell’ospitalità. La testimonianza di Christian de Chergé e Pierre Claverie”. L’incontro è stato organizzato, con il sostegno del Centro missionario diocesano, dal Gruppo Nuovi Martiri, costituito dalle associazioni Archè, Finestra per il Medio Oriente, parrocchia S. Innocenzo I Papa e S. Guido Vescovo, Aiulas Aiutiamo La Siria! e dalla Comunità missionaria di Villareggia. A fare da filo conduttore, il tema “Testimoni nei punti rottura”, tratto da un discorso di monsignor Claverie, scritto un anno e mezzo prima dell’omicidio. «La Chiesa – diceva il vescovo – compie la sua vocazione e la sua missione quando è presente nei punti di rottura che crocifiggono l’umanità nella sua carne e nella sua unità. È in questi punti di rottura che noi siamo al nostro posto perché è solo in questi luoghi che può intravvedersi la luce della risurrezione e la speranza di un rinnovamento del nostro mondo».

Durante il decennio nero della guerra civile in Algeria «i martiri, quelli a noi noti così come quelli rimasti anonimi – ha detto padre Monge -, avevano iniziato un lavoro di riconciliazione per curare le ferite della storia, per abitare i punti di rottura della storia. Si sentivano chiamati a essere segno disarmante di un Dio disarmato. Se vogliamo celebrarli dobbiamo imparare a diventare fedeli alle zone sismiche del quotidiano». Nell’Algeria post-coloniale il «programma di vita dei martiri è stato l’accoglienza», capace di tessere relazioni autentiche «anche in un mondo ostile». Monsignor Claverie in particolare era impegnato nell’ecumenismo e nella promozione del dialogo tra cristiani e musulmani. Lo testimonia l’amicizia con il suo autista, Mohamed, musulmano. «Un legame profondo», ha osservato padre Monge, rimarcando che il vescovo, conscio dei rischi che correva, tentò di allontanare l’amico consigliandogli di trasferirsi ma questi decise di rimanergli accanto. I due furono uccisi da una bomba collocata nel cortile del vescovado di Orano. «Il sangue dei due si mescolò in una sorta di comunione eucaristica profonda», le parole di Monge.

16 dicembre 2021