Il valore della rabbia. Non nasconderla o sopprimerla

Una delle più precoci fra le emozioni, insieme alla felicità e al dolore, intensa e ancestrale. Esiste e ha bisogno di essere riconosciuta, compresa e chiarita

Sempre più spesso capita di imbattersi in discorsi o articoli che trattano il tema delle emozioni e nello specifico di “gestione delle emozioni”. In particolare l’emozione che sembrerebbe meritare tale onorificenza è la rabbia in quanto impropriamente sinonimo dei concetti di aggressività e violenza. Questo breve articolo vuole avere un duplice obiettivo: restituire alla rabbia un ruolo positivo e raccontare la sua storia.

L’aggressività è, per definizione, un aspetto vitale dell’essere umano che si attiva quando ci sentiamo minacciati, quindi quando avvertiamo un pericolo. E non solo: infatti, insieme all’affettività, gli aspetti aggressivi ci caratterizzano perché senza di essi faremmo fatica a vivere le nostre giornate. La rabbia è storicamente (letteratura, storia, miti, religioni, ecc.) e simbolicamente (armi, grida, fuoco, sangue, ecc.) associata a figure potenti e autoritarie: l’ira funesta del Pelide Achille, l’Orlando furioso, l’ira di Dio solo per citarne alcuni. Arrabbiarsi è una condizione che si lega alla perdita del controllo in diverse situazioni ed è accompagnata sia da modificazioni fisiologiche come l’accelerazione del battito cardiaco e del respiro, l’aumento della tensione muscolare, la sensazione di calore e l’irrequietezza sia da modificazioni psicologiche. La rabbia costituisce una delle più precoci fra le emozioni, insieme alla felicità e al dolore. Sin da neonato, il bambino la manifesta attraverso l’espressione del viso e nelle vocalizzazioni e impara strategie per fare in modo che gli adulti di riferimento soddisfino i propri bisogni e desideri.

È fondamentale sottolineare che impariamo moltissimo attraverso le interazioni con le persone che si prendono cura di noi e dalle quali siamo dipendenti, strutturando così modelli di comportamento che successivamente riprodurremo. I più piccoli hanno bisogno di imparare come arrabbiarsi, sperimentando e osservando, e il luogo migliore dove farlo è l’ambiente familiare.  In questo modo, in età adulta, se le esperienze vissute nell’ambiente familiare sono state positive cioè in grado di esprimere relazioni “buone”, caratterizzate fra l’altro da accettazione e contenimento, possiamo affermare che l’aggressività e la rabbia acquisteranno una forma non violenta (“sana”), quindi la persona tenderà a funzionare nelle relazioni con rispetto e con la giusta energia. Al contrario, egli tenderà a stare nelle relazioni con una modalità infantile-rabbiosa dove potrebbe sperimentare rabbia e attribuire agli altri la responsabilità delle difficoltà incontrate. L’altro verrà vissuto come incapace di soddisfare i propri bisogni e quindi la rabbia provata verrà espressa nel distruggere e annientare sotto forma di violenza.

Una delle affermazioni che sentiamo spesso è “non si litiga davanti ai bambini”, come a voler dire che la rabbia è un’emozione da nascondere o sopprimere. Il rancore, i conflitti sommersi e la rabbia contenuta possono avere effetti meno positivi di quanto si pensi. Davanti ai bambini si può discutere e si deve far pace in modo che possano comprendere che è lecita la rabbia e opportuno il perdono e per evitare che possano costruire fantasie su quello che sta succedendo. Infatti molto spesso le fantasie sono più drammatiche della realtà stessa. Quante volte noi adulti (ma anche gli adolescenti) viviamo la nostra quotidianità senza soffermarci troppo su come stiamo e cosa proviamo, in altre parole diamo per scontato il nostro umore e stato d’animo e non ci soffermiamo a cogliere emozioni e sentimenti. “Come stai?” è la domanda più banale e che più frequentemente ci viene rivolta ma, senza troppe esitazioni, rispondiamo “bene”. Eppure sappiamo, per esperienza diretta, che tutto quello che proviamo non si riduce a questo e che potrebbe influenzare largamente la giornata.

Ogni volta che ci chiediamo “ma oggi come sto?” ci facciamo un regalo. Prendiamo coscienza di quello che proviamo e questo ci permette di affacciarci alla finestra del nostro mondo interno con la possibilità di conoscerci meglio ed entrare in contatto con la parte più intima di noi stessi. La riflessione sugli stati d’animo propri ci permette inoltre di sviluppare empatia, ovvero quella capacità di comprendere le emozioni che vive un’altra persona, per cui se ad esempio mi rendo conto che oggi l’altro con cui sto in relazione è arrabbiato posso capire come avvicinarmi. La nostra crescita psichica e la nostra identità hanno bisogno di figure di riferimento positive con le quali possiamo identificarci, prime su tutte le figure genitoriali che ci accudiscono adeguatamente e che portiamo per tutta la vita dentro di noi. L’educazione ai sentimenti nasce in famiglia, e prosegue a scuola, come cammino significativo per comprendere meglio quello che succede dentro e fuori di noi. La rabbia è un sentimento intenso e ancestrale. Spesso emerge per proteggere una fragilità o un blocco e non è né giusta né sbagliata; né rilevante né inutile. Come tutta la gamma di emozioni che proviamo, semplicemente esiste e ha bisogno di essere riconosciuta, compresa e chiarita. (di Claudia Bartalucci)

12 novembre 2011