Nei deserti delle città le prime grandi prove

Non basta aver fatto il primo passo, occorre avanzare e restare sulla strada del Vangelo anche e soprattutto quando il percorso si fa più difficile. Affrontando la paura

Nei Vangeli spesso troviamo indicazioni di tempo o di luogo per annunciare le “uscite” di Gesù: «In seguito Egli se ne andava per città e villaggi predicando e annunciando la buona notizia» (cf Lc 8,1). Possiamo immaginare che Gesù guardasse in faccia il gruppo di coloro che stavano con lui, per metterli in avviso: d’ora in poi sarà chiesto uno sforzo maggiore, sarà necessaria una sequela più qualificata. A questa inevitabile esigenza seguirà un più alto tasso di defezione: non tutti riusciranno, infatti, a rimanere fedeli al Signore.

Sembra di rivedere il tempo dell’Esodo dove i più si persero per la durezza di quel peregrinare nel deserto. Per questo Gesù li prepara, istruendoli con la parabola del seminatore (cf vv. 4-15). Una chiara metafora della sua parola che dovrà misurarsi con il “terreno” più o meno buono dei suoi discepoli. Non basta aver fatto il primo passo, occorre avanzare e restare sulla strada del Vangelo anche e soprattutto quando il percorso si fa più difficile. La loro fede dovrà, adesso, affrontare le prime grandi prove: quella della paura e quella del male. Gesù quasi conta i volti dei
suoi, li passa in rassegna: ci sono gli uomini, i Dodici, e ci sono le donne, che sono tre, seguite da molte altre. Sono loro il suo “popolo in uscita”.

Arrivano in una terra desolata: la regione pagana della Decapoli. Qui sorgeva Gerasa, qui erano le estreme periferie, quelle dell’indegnità, dove la vita è randagia e impura e il corpo un rifiuto da trascinare con vergogna e tormento. L’indemoniato è un degno ambasciatore per la rappresentanza. «Era appena sceso a terra, quando dalla città gli venne incontro un uomo posseduto dai demoni». Il suo corpo e nudo e sguarnito, senza qualcuno che ne protegga la tenerezza delle membra e che, quindi, facilmente diventa boccone agli avvoltoi, occasione dei predatori di carne. Dei diavoli, appunto.

L’“indemoniato” è un abisso di solitudine. La sua condizione non è neppure quella di una bestia, che ha un habitat adatto alla sua esistenza, la sua casa è la tomba, è espulso dalla comunità umana. Brandelli di anima colonizzata da una legione di forze centrifughe, di muscoli laceranti. Emarginato dai luoghi della vita civile e degli affetti, porta con sé una brutale infermità, una straziante estraneità a sé stesso. Non possiede le lingue degli uomini, ma è la belva che parla dalla sua bocca e si blocca dinanzi a Gesù: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo?». La “legione” di schegge impazzite, l’orrore dell’abbandono e del rigetto, la logica cieca del cimitero e la vigliaccheria della morte non possono resistere alla voce di quell’Uomo integro che è Gesù, amante e amabile e amato, oasi di relazioni e di abbraccio umano e divino, in quel deserto di inimicizia e di urla. Gesù vince contro l’intera legione del male. «Torna a casa tua e racconta quello che Dio ha fatto per te». Il più efficace atto di esorcismo consiste nel reinserire un uomo nella humana societas, restituendogli, con la parola e la casa, anche la vita.

8 novembre 2021