Aprile 1990, apre la casa famiglia Caritas a Ponte Casilino

Su Roma Sette la notizia dell’apertura della struttura per sena dimora nei locali di una scuola non più utilizzata

Davide, cinquant’anni, dormiva appoggiato alla parete della chiesa di S. Maria degli Angeli. Ha grossi disturbi mentali: è stato incontrato per la prima volta dalla «ronda», il servizio itinerante per i barboni organizzato dalla Caritas, all’apertura dell’Ostello di via Marsala nel 1987: accendeva falò per riscaldarsi tra cani, gatti e topi. Anche Davide come molti altri, è stato convinto a venire nel nuovo Ostello di Ponte Casilino, aperto lunedì scorso. All’appuntamento si è presentato con una grande quantità di bottiglie vuote. Inserito inizialmente a via Marsala, Davide si occupava delle pulizie, per cui riceveva anche un piccolo compenso. Molta premura e impegno hanno trasformato la vita di quest’uomo: attualmente vive nella casa-famiglia di Fidene ma tra breve si sistemerà definitivamente nel centro di Ponte Casilino. Incapace inizialmente di badare a se stesso e di avere normali rapporti umani ha ritrovato un suo equilibrio ed ora è in grado anche di abitare nella nuova casa-famiglia insieme ad altre persone.

«Si tratta di una vecchia scuola elementare – ha spiegato Mons. Di Liegro, Direttore della caritas diocesana – che è stata chiusa qualche anno fa perché non veniva più utilizzata». La casa-famiglia di Ponte Casilino è stata ristrutturata interamente con contributi volontari: il Comune lo ha affidato in usufrutto alla Caritas a patto che pensi alle spese di restauro. Le spese sono molte e i soldi scarseggiano: per un restauro complessivo dell’ottocentesco palazzo di via Casilina Vecchia ci vorrà almeno un miliardo. Per il momento la casa-famiglia utilizza solo il primo piano: ci sono grossi buchi nel tetto e la pioggia entra al secondo piano. Ma rifare il tetto costa 300 milioni, che non ci sono. Per ora si è fatto il minimo indispensabile, il riscaldamento e l’impianto elettrico.

La casa di Ponte Casilino non gode infatti di alcuna convenzione con il Comune e dovrà quindi reggersi sulle proprie forze. Dispone di 23 posti letto, 20 per residenti e gli altri per le emergenze. Offrirà alloggio in maniera residenziale: gli ospiti potranno restare da un minimo di sei mesi ad un massimo di un anno; si tenta di ospitare persone anziane con disagi sociali e disturbi psichici: coloro per i quali è più difficile un reinserimento. L’amicizia, che i volontari delle «ronde» notturne hanno stretto con loro, è il tramite per arrivare alla casa-famiglia.

I centoventi volontari che girano di notte per portare cibo e calore umano ai barboni hanno trasferito qui il loro quartier generale: agiscono anche tramite segnalazioni al numero telefonico 7000601. Settanta volontari si danno il turno. «Si tende ad avere 10 persone il giorno e 4 la notte» spiega Gennaro di Cicco, direttore della Casa-famiglia.

«Il tentativo è quello di responsabilizzare gli ospiti coinvolgendoli, aiutati dai volontari, nella conduzione della nuova struttura». La casa è arredata in modo da evitare l’impressione di una struttura «sociale»: tendine alle finestre, piante di fiori, unna certa privacy per ogni letto, un nuovissimo stereo in sala da pranzo la rendono decisamente accogliente. Ci sono segnali positivi anche per il coinvolgimento della gente: la ristrutturazione dell’intero edificio è stata effettuata esclusivamente con l’opera dei volontari accorsi numerosi dalle parrocchie; inoltre ogni giorno viene donato il pane da un fornaio che ha voluto mantenere l’anonimato, e ci sono anche medici della zona che hanno offerto la loro reperibilità in caso di necessità.

Sono stati avviati anche alcuni tentativi di coordinare i vari gruppi che operano nel settore del volontariato. Infatti «il compito della Caritas – spiega Mons. Di Liegro – è quello di tentare un minimo di collegamento e di coordinamento: un compito difficile perché non tutti accettano di farsi coordinare, ma che sta ottenendo comunque qualche risultato. La Caritas non è un’associazione di volontariato ma un organismo pastorale che anima lo spirito e l’impegno della solidarietà.

A Ponte Casilino non c’è il volontariato “della” Caritas ma ci sono preti, suore, studenti, lavoratori: ci sono insomma i cristiani. La nostra – aggiunge il direttore della Caritas diocesana – non è un’iniziativa tra le tante, ma una iniziativa a cui partecipano le diverse espressioni della Chiesa. è una sfumatura importante, altrimenti rischiano di avere tanti soggetti di attività di missione ecclesiale e la comunità finisce per non essere operante. Ci possono essere tante iniziative ma tutte si dovrebbero articolare in un “unum” che è la comunità cristina, che in questo caso è la chiesa locale». «Il volontariato – conclude Mons. Di Liegro – tenta di essere la Chiesa che va verso gli uomini: essa penetra così in tutti i luoghi della disperazione per portare la speranza». (di G.B.B.)

29 aprile 1990