Il crocifisso in aula non discrimina nessuno

Lo afferma la Corte di Cassazione: il docente dissenziente «non ha potere di veto ma va tenuto conto del suo punto di vista. Il segretario generale Cei Stefano Russo: «Innegabile che quell'uomo sofferente è simbolo di dialogo». Centro studi Livatino: «Adesso intervenga il Parlamento»

«L’aula può accogliere la presenza del crocifisso quando la comunità scolastica interessata valuti e decida in autonomia di esporlo, eventualmente accompagnandolo con i simboli di altre confessioni presenti nella classe e in ogni caso ricercando un ragionevole accomodamento tra eventuali posizioni difformi». La Corte di Cassazione, a sessioni riunite, si è espressa ieri, 9 settembre, sulla questione sollevata in una scuola di Terni relativamente alla «compatibilità tra l’ordine di esposizione del crocifisso, impartito dal dirigente scolastico di un istituto professionale statale sulla base di una delibera assunta a maggioranza dall’assemblea di classe degli studenti, e la libertà di coscienza in materia religiosa del docente che desiderava fare le sue lezioni senza il simbolo religioso appeso alla parete». Nella sentenza n. 24414, la Corte ricorda che «la disposizione del regolamento degli anni venti del secolo scorso – che tuttora disciplina la materia, mancando una legge del Parlamento – è suscettibile di essere interpretata in senso conforme alla Costituzione».

Per i giudici della Cassazione, dunque, «il docente dissenziente non ha un potere di veto o di interdizione assoluta rispetto all’affissione del crocifisso». Allo stesso tempo però, aggiungono, «deve essere ricercata, da parte della scuola, una soluzione che tenga conto del suo punto di vista e che rispetti la sua libertà negativa di religione». Nel caso in questione, «la circolare del dirigente scolastico, consistente nel puro e semplice ordine di affissione del simbolo religioso, non è conforme al modello e al metodo di una comunità scolastica dialogante che ricerca una soluzione condivisa nel rispetto delle diverse sensibilità. Ciò comporta la caducazione della sanzione disciplinare inflitta al professore». L’affissione del crocifisso insomma, «al quale si legano, in un Paese come l’Italia, l’esperienza vissuta di una comunità e la tradizione culturale di un popolo», per la Corte di Cassazione «non costituisce un atto di discriminazione del docente dissenziente per causa di religione. Non è stata quindi accolta la richiesta di risarcimento danni formulata dal docente – si legge nella sentenza -, in quanto non si è ritenuto che sia stata condizionata o compressa la sua libertà di espressione e di insegnamento».

Pur riservandosi di leggere la sentenza nella sua integralità, il segretario generale della Cei Stefano Russo parla di una decisione, da parte della Suprema Corte, che «applica pienamente il principio di libertà religiosa sancito dalla Costituzione, rigettando una visione laicista della società che vuole sterilizzare lo spazio pubblico da ogni riferimento religioso». I giudici, nelle parole di Russo, «confermano che il crocifisso nelle aule scolastiche non crea divisioni o contrapposizioni ma è espressione di un sentire comune radicato nel nostro Paese e simbolo di una tradizione culturale millenaria». La Cassazione, osserva, «riconosce la rilevanza della libertà religiosa, il valore dell’appartenenza, l’importanza del rispetto reciproco. È innegabile – prosegue – che quell’uomo sofferente sulla croce non possa che essere simbolo di dialogo, perché nessuna esperienza è più universale della compassione verso il prossimo e della speranza di salvezza. Il cristianesimo di cui è permeata la nostra cultura, anche laica, ha contribuito a costruire e ad accrescere nel corso dei secoli una serie di valori condivisi che si esplicitano nell’accoglienza, nella cura, nell’inclusione, nell’aspirazione alla fraternità».

A commento della sentenza delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione è intervenuto anche il Centro studi Livatino, evidenziando «un’affermazione importante», vale a dire il fatto che «non esiste un divieto di affissione» del crocifisso e che «la sua presenza in un’aula scolastica non crea discriminazioni». Con questo però «il discorso però non è chiuso e deve necessariamente proseguire in Parlamento», scrivono in una nota, ricordando che «a fondamento dell’affissione del Crocifisso vi è una norma, se pure regolamentare, in vigore da quasi un secolo, mentre per le altre confessioni manca qualsiasi aggancio normativo. Allorché la Cassazione ipotizza la soluzione dell’eventuale affiancamento al Crocifisso di simboli di altre confessioni religiose, coerenti col credo degli alunni presenti nell’aula, si fa creatrice di una norma, più che interprete di quelle esistenti», spiegano dal Centro studi. E ancora: «Allorché essa conferma che si è in materia di diritti fondamentali, e precisa che tale materia non è sottoponibile al criterio di maggioranza, poi ne affida la concreta attuazione all’autonomia scolastica, cioè al voto che verrà dato in materia nei consigli di istituto, o di classe, o nell’assemblea degli studenti, e a un non meglio precisato ‘accomodamento ragionevole. Per evitare che sul fondamentale diritto alla libertà religiosa ogni scuola e ogni classe facciano da sé – è la conclusione -, è indispensabile che intervenga il Parlamento, con l’approvazione di norme chiare e omogenee».

10 settembre 2021