Emergenza coronavirus: l’esperienza italiana

Il punto in un webinar promosso dalla Cattolica. Miozzo: «Non esiste nel nostro Paese una cultura di gestione della crisi a livello centrale». Ricciardi: «Manca riflessione sulla prevenzione». L'auspicio: «Seguire il cambio di passo» della Francia, con Green pass per eventi e locali chiusi

Il Covid-19 ha scoperchiato «un vero e proprio vaso di Pandora», mettendo in luce alcune criticità «delle istituzioni, risultate deficitarie e impreparate a gestire un problema di tale portata. Nessuno nel mondo era preparato ad affrontare una pandemia». A fare il punto sull’impatto del coronavirus nella prima fase dell’emergenza sanitaria è stato Agostino Miozzo, coordinatore del primo Comitato tecnico scientifico, nel corso del webinar di ieri, 14 luglio, promosso dall’Alta Scuola di Economia e Management dei Sistemi sanitari dell’Università Cattolica e dedicato alla “Gestione dell’emergenza” nei sistemi sanitari e al rapporto fra scienza e politica nei processi decisionali e di gestione della sanità pubblica.

«Alla fine ce la siamo cavata bene grazie alla naturale e congenita resilienza che ci permette di adattarci a ciascuna situazione – ha continuato l’esperto – ma è risultato evidente che, al di là della capacità di gestione delle singole strutture ospedaliere, non esiste in Italia una cultura di gestione della crisi a livello centrale. Basti pensare che i ministeri di Sanità, Scuola e Trasporti non hanno un settore dedicato alle situazioni di crisi». Da qui, l’evidenza della necessaria gestione unitaria dei processi emergenziali «mediante un provvisorio superamento del Titolo V», ha suggerito Miozzo, ricordando come i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione, «perché la dichiarazione dello stato di emergenza, nell’interesse del bene nazionale, deve superare le diversità di azione messe in atto a livello locale».

Anche per Massimo Antonelli, direttore della Terapia intensiva del Gemelli e membro del Comitato tecnico scientifico dal febbraio 2020 al marzo 2021, in Italia «non esiste “il” Sistema sanitario» tanto che «uno degli elementi più critici per noi membri del Cts è stata la frustrazione vissuta nel vedere alcune Regioni operare in modo differente, talvolta anche opposto, a quanto noi raccomandavamo». Se è chiaro che «la scienza non ha certezze su tanti fronti, meno che meno rispetto a un’epidemia di cui si sapeva molto poco all’inizio, sono sempre stati fatti dei ragionamenti razionali e logici, anche se non potevano essere suffragati da evidenze scientifiche, che sono venute solo dopo». D’altra parte, ha constatato il medico, che è anche ordinario di Anestesiologia alla Cattolica, «la rapida diffusione di informazioni a livello internazionale e il continuo contatto con le altre nazioni hanno favorito il lavoro e sono state un dato ampiamente positivo in questa pandemia».

Antonelli ha poi riferito che «sia a livello pubblico che privato, nelle nostre caselle email personali, siamo stati spesso accusati di limitare e bloccare le attività commerciali per le decisioni di chiusura proposte», sottolineando tuttavia che «non abbiamo mai preso nessuna decisione a cuor leggero e abbiamo anzi sempre avuto come unico obiettivo quello di proteggere la popolazione».

Sul tema dei «necessari lockdown con funzione preventiva» si è espresso Walter Ricciardi, consigliere scientifico del ministro della Salute Roberto Speranza nell’emergenza coronavirus oltre che ordinario di Igiene generale e applicata alla facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica. «La questione della prevenzione in Italia manca di una adeguata riflessione e comprensione – ha detto l’esperto -. Oggi abbiamo il vaccino, è vero, ma il virus si sta organizzando per bypassarlo. Pensiamo che in India è stata isolata la cosiddetta variante “Delta plus” mentre in Perù quella denominata “Lambda” preoccupa moltissimo perché le varianti rischiano di arrivare a bucare il vaccino stesso». Guardando ancora al quadro internazionale, Ricciardi ha notato come «in Africa sia vaccinato solo l’1% della popolazione e questo crea dei problemi enormi, specialmente a fronte di una variante come quella indiana, che tramite un solo contagiato infetta altre 7 persone».

Sulla base di questo dato, il medico ha definito «folle e fuori dal mondo» il modello inglese che va verso la riapertura di tutte le attività, comprese le discoteche, evidenziando di seguito «l’errore dell’Australia che, pur avendo gestito molto bene la prima fase dell’epidemia con lockdown mirati, per eccessivo compiacimento ha poi ritardato la somministrazione del vaccino» e, ancora, «il record di morti raggiunto ieri dalla Russia, che ha prodotto e utilizzato un vaccino non autorizzato dall’Ema». Da lodare invece «il modello francese, con l’intervento immediato del presidente Macron alla luce di evidenze scientifiche che, per altro, sono molto simili a quelle che osserviamo in Italia». Ecco quindi l’auspicio di «seguire il cambio di passo del presidente francese», che prevede l’obbligo di esibire il Green pass, e quindi la necessità di essere vaccinati, «per accedere a tutte quelle aree chiuse nelle quali la presenza anche di una sola persona contagiata dal virus implica il sicuro contagio di altri».

15 luglio 2021