Sergio Cammariere: «I concerti, cura per l’anima»

Un nuovo album, un’autobiografia e una serie di concerti estivi per l’artista crotonese che si racconta prima del concerto all’Auditorium Parco della Musica, il 22 giugno

Che sia un viaggio metaforico, un’esperienza introspettiva o semplicemente un sottofondo di compagnia, l’ascolto del nuovo album di Sergio Cammariere, “Piano nudo”, lascia comunque il segno. Come lo ha lasciato in lui la pandemia, che lo ha particolarmente ispirato. Un libro, un album, uno spettacolo teatrale: sono il frutto di questi ultimi anni di lavoro, che emergono finalmente in un periodo di rinascita per tutti. È in libreria da poche settimane la sua autobiografia Libero nell’Aria (Rizzoli) – scritta con Cosimo Damiano Damato – che si chiude sul palco sanremese del 2003: da lì inizia un’altra storia, che si arricchisce di un nuovo capitolo musicale dal titolo auto esplicativo, “Piano nudo” (Jando Music/Parco della Musica Records), con 18 nuovi brani eseguiti solo al pianoforte in stile modern jazz, ideale seguito di “Piano” (2017) mentre, da pochi giorni, è ripartito il tour interrotto a causa del covid, che farà tappa anche a Roma, il prossimo 22 giugno, alla cavea dell’Auditorium Parco della musica.

Talentuoso, riservato e sensibile, una carriera trentennale, undici album da cantautore, venti colonne sonore per il cinema, dodici premi internazionali, collaborazioni con grandi nomi della musica italiana, Premio Tenco nel 2002 con “Dalla pace del mare lontano”, e terzo posto a Sanremo 2003 con “Tutto quello che un uomo”, oggi Cammariere continua a regalare emozioni attraverso le sue sonorità raffinate e intense. Nel live presenterà i suoi successi più amati insieme alle canzoni più recenti contenute nel disco “La fine di tutti i guai”, fino ai nuovi brani strumentali di “Piano Nudo”. Sul palco Cammariere sarà accompagnato dalla sua storica band, un team di grandi musicisti che da sempre sono al suo fianco: Daniele Tittarelli (sax soprano), Luca Bulgarelli (contrabbasso), Amedeo Ariano (batteria), Bruno Marcozzi (percussioni). Lo intervistiamo a pochi giorno dal sold out di Bari mentre si trova nella sua casa romana, di cui i fans che lo seguono sui social conoscono la grande sala con il pianoforte da cui spesso regala brani in compagnia dell’amato gatto Pippo.

Quando e come sono nati questi nuovi brani?
A dire il vero, quando nel 2017 ho consegnato “Piano”, primo disco di solo pianoforte, ho continuato subito a comporre, editare, ascoltare da lontano, suonare, risuonare e registrare. Avevo registrato già quattro ore e mezza. Insomma, il nuovo disco, in cui suono per cinquantadue minuti, ha una genesi di quattro anni, non è facile mettersi a nudo con il pianoforte. Era stato così anche per “Piano”, su cui ho iniziato a lavorare nel 2011, per fortuna ho imparato ad abbreviare certi passaggi della produzione strumentale! Lo ritengo un disco coraggioso, non ci sono molti cantautori che pubblicano album strumentali, ma io sono anche un pianista, anche se non nel senso classico, perché io faccio jazz improvvisato. Oggi purtroppo c’è meno attenzione su questo genere di musica, eppure è da qui che viene la nostra tradizione, noi abbiamo amato la musica strumentale, si dovrebbero educare di più i giovani a questo tipo di ascolto. La musica non è solo quella che gira su Tik Tok.

Nell’album ci sono anche titoli esplicativi come Lampedusa, in cui con sole note affronti la tragedia del Mediterraneo, e Girotondo per Greta, valzer dedicato a Greta Thunberg o Le foto di Carlo, dedicato al grande attore Carlo Delle Piane scomparso recentemente. Come riesci a comunicare dei messaggi spogliando la musica dalle parole?
I titoli vengono sempre dopo, come accade nel cinema, dove il regista sceglie a posteriori il brano che funziona in un determinato punto. Mi ritengo una persona sensibile, chi fa musica strumentale deve avere senso di percezione e sensibilità profonde, sono abituato ad ascoltare la musica classica dove ci sono gli archetipi della grande musica. E questo mi aiuta a riflettere, a cercare nella musica le risposte alle cose che mi colpiscono.

In “Lettera a mia madre” cosa le dici idealmente?
Questo brano non è dedicato alla mia mamma, ma a quella di una persona a me molto vicina, da qualche anno affetta da Alzheimer, e, in maniera ideale, a tutte le mamme che dopo aver dato la vita per i figli, a causa della malattia, si ritrovano in un corto circuito e non riescono più a comunicare. Ho pensato però a tutto l’affetto che non si esprime più con le parole ma che si riconosce in piccoli gesti.

Come sta andando con la ripartenza dei live?
Ci dobbiamo abituare tutti, siamo in una fase di ripartenza a cui tutti ci dobbiamo adattare, artisti e spettatori. Credo che prima ci vacciniamo tutti e prima abbiamo possibilità di tornare alla normalità. Anche perché al momento è un po’ triste che un teatro con 1500 posti ne possa ospitare un terzo. Alla cavea dell’Auditorium potremo essere 1000, ma sempre meno rispetto alla capienza, senza contare che sono vietati i caroselli finali, niente autografi, selfie, firma copie, tutte cose che fanno piacere sia a i fans che a noi, anche per ringraziare persone arrivate magari da lontano. Ma almeno finalmente si suona! C’è comunque uno scambio, una scintilla. Io credo che la musica sia taumaturgica e che un concerto possa essere una cura per l’anima. Una cosa che è mancata molto con la pandemia.

Che significa per te essere “libero nell’aria” per richiamare il titolo della tua autobiografia?
Lo racconto all’inizio del libro: Sono nato a Crotone in via Libertà, il mio secondo nome è Libero, sono sempre stato pacifista, un po’ anarchico e ribelle, e ho imparato da solo a fare della mia passione per il pianoforte un mestiere. Libero di fare le mie scelte. Ma certo, la libertà va conquistata e ha un prezzo, devi dire tanti no per poterti sentire veramente libero e a volte sono dolorosi. Il senso della mia libertà sta nel non essermi conformato e omologato. E questo si riflette anche nelle canzoni, libere pure loro. Pensiamo a “Tutto quello che un uomo”, che a 18 anni di distanza sta ancora facendo il giro del mondo grazie a Giulio Base che l’ha voluta nel suo ultimo bellissimo film “Un cielo stellato sopra il ghetto di Roma” che racconta la Shoah vista dai ragazzi.

Hai dichiarato che per te comporre è un atto di fede, in che senso?
Anche nel libro racconto una tappa fondamentale della mia vita che è stata seguire il cammino Neocatecumenale, sono stato capo cantore, cantavo i profeti, i salmi, le sacre scritture, e la mia evoluzione musicale è andata di pari passo con quella spirituale. Mi considero un eremita, ho sempre schivato la mondanità e il successo. Mi piace starmene a casa da solo con il piano e ogni volta che compongo qualcosa – e la musica richiede anche uno sforzo di precisione – sento la vicinanza del “grande architetto” che mi dà questa possibilità.

Stai preparando anche un tour teatrale, “Sono sempre stato Libero”, ce ne parli?
Ci sto lavorando insieme a Cosimo Damiano, con cui si è creato un bel sodalizio. Ci saranno letture del mio libro e la musica che lo attraversano. Mi piace sperimentare, la varietà di interessi aiuta a non fossilizzarsi e a essere sempre in evoluzione.

18 giugno 2021