Lettera a un maturando, tra ricordi e consigli

Vale la pena non arrendersi alla mediocrità ma darsi il passo delle idee importanti, spesso faticose ma umanizzanti. Custodire gli anni della relazione studenti-docenti

Cara alunna, caro alunno, ti scrivo queste parole di pomeriggio, prima della pizza insieme a pochi giorni dall’esame di Stato, nel tempo in cui durante questi tre anni mi sono sempre messo al tavolo per preparare le nostre lezioni. Sono passati tre anni, un tempo lungo, siamo stati insieme tante ore, eppure ti dico che ho già messo nel cassetto delle cose belle capitatemi nella vita ogni singola ora vissuta nella nostra classe. Lo dico convintamente, perché in fondo di vita si è trattata, spesa nel privilegio di conoscerci, riconoscerci, stimarci, attraverso le parole di Dante e Petrarca, di Machiavelli e Galileo, di Montale e di Pasolini.

La tratto pen blu che troverai nella busta insieme a queste parole che ti consegnerò è legata a un piccolo aneddoto personale. Quando iniziai l’università mi misi a preparare come primo esame, un po’ incoscientemente, Letteratura italiana, la prima annualità. Iniziai a studiare a settembre per sostenere l’esame a giugno (al mio tempo funzionava così) ma dopo un mese mi resi conto della mole dei testi da portare. A un certo punto mi scoraggiai molto, pensando che non sarei mai riuscito a superare l’esame. Confidai le mie difficoltà a un maestro, il quale mi diede dei consigli di buon senso ma soprattutto mi incoraggiò molto. Mi disse anche di studiare con metodo e di schematizzare con cura. Finita quella chiacchierata andai in una cartoleria e comprai un bel quadernone e una «penna che scrivesse bene», così mi aveva detto lui. Scelsi una tratto pen blu. Se uso ancora quella penna, forse ci avrai fatto caso, è perché poi dopo quel giorno iniziai piano e con metodo a fare schemi, sistemare appunti, insomma a scalare la montagna. Lo feci lentamente, con cura, per quasi otto mesi. L’esame andò bene, io capii che nulla è impossibile se ci mettiamo impegno, onestà e voglia di non accontentarsi. Per altro l’iniezione di fiducia di quell’esame fu decisiva e mi fece andare avanti bene e in fretta all’università.

 Ti racconto questa piccola storia perché è evidente che quella prima tratto pen blu, quel quadernone, sono un piccolo apologo che riguarda me ma anche te, per augurarti che di quello che abbiamo conosciuto e studiato insieme possa rimanerti un pungolo: che vale la pena non arrendersi alla mediocrità che il nostro tempo vorrebbe imporci, che è giusto darci il passo delle idee importanti, spesso faticose ma sempre umanizzanti. Non guardare mai in basso, non avere paura dello sforzo, insisti, scegli il bene e vedrai che indipendentemente da cosa farai, la vita diventerà uno spettacolo: il più bello di tutti.

Chiudo sullo stupore che sicuramente avrai provato quando, salutandoti al termine della cena, ti ho chiamato per la prima volta con il tuo nome e non con il tuo cognome: da ora in poi sarà sempre così. Ora te lo posso dire, avevo imparato i vostri nomi già dai primi giorni di scuola del primo anno e li ho sempre portati con me. Ti assicuro che custodirò questi tre anni che hanno generato la nostra relazione, il tuo nome nella mia vita, il tuo nome, che è un nome bellissimo.

17 giugno 2021