«Il bisogno dello Spirito» per rinascere, dopo la pandemia

Ne ha parlato il cardinale De Donatis nella veglia di Pentecoste, a San Giovanni in Laterano, impartendo il sacramento della confermazione a 6 giovani

Come gli ebrei, guidati da Mosè, fuggirono dall’Egitto, così l’umanità oggi «muove i primi passi nel deserto lasciandosi alle spalle» le ferite inflitte dalla pandemia. Da un lato c’è «il desiderio irrefrenabile di uscire, di correre finalmente», dall’altro prevale l’incertezza e la paura di intraprendere una strada sconosciuta. «Come sarà ora la nostra vita? Cosa cambierà, cosa non sarà più come prima?». Interrogativi che si è posto il cardinale vicario Angelo De Donatis durante la veglia di Pentecoste diocesana celebrata sabato 22 maggio nella basilica di San Giovanni in Laterano, chiedendo al Padre di parlare all’uomo «volto a volto» come fece con Mosè, e allo Spirito Santo di infondere nei cuori «la fermezza di chi sa che si possono attraversare mille deserti sconosciuti e sentirsi paradossalmente sempre a casa», perché non si cammina mai da soli.

Il porporato si è detto commosso di rivedere la cattedrale piena di fedeli, tra i quali era «palpabile» la gioia di ritrovarsi insieme, seppure nel pieno rispetto delle norme anti Covid-19. Più volte nell’omelia ha implorato l’intercessione di Dio a favore dell’umanità messa a dura prova dall’emergenza sanitaria, responsabile, tra le altre cose, di aver sottratto «la gioia della giovinezza», di aver lasciato spazio alla rabbia «per il tempo perduto che non tornerà», per aver incupito i cuori tentandoli a «lasciarsi andare alla tristezza, fino a sprofondare nel rimpianto». Per il cardinale, lo stato d’animo predominante è quello di sentirsi «“invecchiati dentro” prima del tempo, consegnati all’aridità e a un’impotenza mortifera, come le ossa inaridite di cui parla il profeta Ezechiele». Da qui la supplica al Signore di donare a ogni uomo «la grazia di comprendere che niente è realmente perduto» e di ricordare che il Padre sta già «tessendo una vita nuova, più bella e più profonda, anche perché impastata di tutto quello che si è vissuto, compreso il dolore».

Durante la Messa, animata dal coro della diocesi di Roma, a sei giovani è stato impartito il sacramento della confermazione. Si tratta di quattro donne e due uomini: Flavia, Ludovica e Lavinia, tre sorelle di 16, 18 e 21 anni appartenenti alla parrocchia di Santa Maria Addolorata; Giulia, 28 anni, della chiesa Gesù Divino Maestro; Gabriel, 19 anni, di Santa Maria Assunta e San Michele, e Stelvio, 33 anni, di Santi Fabiano e Venanzio. Rivolgendosi direttamente a loro, il vicario del Papa per la diocesi di Roma ha rimarcato che la Chiesa attesta che «l’unzione “insegnerà ogni cosa”, perché farà zampillare l’acqua viva della Parola di Gesù». Il Vangelo ascoltato in casa e in parrocchia ora, «grazie alla sorgente dello Spirito, zampilla da dentro, e diventa una “legge di libertà” da seguire con fiducia, contro ogni tentazione di scoraggiamento, di ripiegamento sulla propria tristezza o al contrario, di affermazione di se stessi a danno degli altri».

All’inizio della celebrazione – che ha visto tra i concelebranti il segretario generale del Vicariato di Roma Pierangelo Pedretti e il vescovo Luca Brandolini, vicario dell’arciprete della cattedrale -, De Donatis ha percorso la navata centrale per benedire i fedeli con acqua profumata in memoria del battesimo, primo sacramento in cui lo Spirito Santo fa rinascere a vita nuova. Invocare il Paraclito, ha spiegato nell’omelia, significa «riconoscere di non bastare a se stessi. Vuol dire essere lucidamente consapevoli che non è possibile farcela da soli». Per questo ha invitato i presenti «a tirar fuori dai polmoni tutta la voce, tutta la passione che riempie il cuore, per gridare il bisogno dello Spirito per rinascere».

La liturgia prevedeva quattro letture dell’Antico Testamento e una del Nuovo. Tra queste, il brano che fa memoria della costruzione della torre di Babele, simbolo di arroganza, di presunzione e dell’orgoglio dell’uomo. Ancora una volta il porporato è tornato a invocare l’aiuto del Signore per «non essere pianificati e omologati da nessuno, costretti a vivere un’esistenza mediocre, incanalata nel doppio binario di un lavoro alienante e del consumo senza freni; non sopportiamo di essere ridotti a un numero, a un prodotto commerciale, di non veder riconosciuta la nostra dignità di figli liberi di Dio; vogliamo poter esprimere la nostra originalità di persone che hanno qualcosa da dire di più autentico delle parole che tutti dicono, che sanno parlare lingue nuove e inedite. Se a Babele il principe Nimrod costringe tutti a seguire il suo folle piano – ha proseguito -, noi sappiamo che il tuo Spirito è libertà e adora creare movimento dove c’è rigidità, scompiglio dove c’è un ordine asfissiante, comunione e armonia dove ci sono realtà molteplici e persone diverse tra loro».

24 maggio 2021