Catechista, un ministero. Don Cavallini: «È una vera vocazione»

Il direttore dell’Ufficio catechistico diocesano commenta la lettera apostolica Antiquum ministerium: riconoscimento del ruolo essenziale dei laici

Con la lettera apostolica in forma di motu proprio Antiquum ministerium, Papa Francesco lo scorso 10 maggio ha istituito il ministero di catechista. «La Chiesa – scrive tra l’altro il pontefice – ha voluto riconoscere questo servizio come espressione concreta del carisma personale che ha favorito non poco l’esercizio della sua missione evangelizzatrice». Francesco ricorda anche il ruolo, lungo i secoli, di tanti catechisti e anche al giorno d’oggi «tanti catechisti capaci e tenaci sono a capo di comunità in diverse regioni e svolgono una missione insostituibile nella trasmissione e nell’approfondimento della fede», scrive. Una presenza rinnovata con il Concilio Vaticano II, che ha aperto nuovi orizzonti al laicato cattolico. A comprendere meglio il senso di questa novità ci aiuta don Andrea Cavallini, direttore dell’Ufficio catechistico della diocesi di Roma.

Quella del catechista, come ricorda lo stesso pontefice, è una figura presente fin dagli albori nella Chiesa. Perché ora il Papa istituisce questo ministero?
È una discussione che si protrae da alcuni decenni e che finora non aveva trovato una soluzione. La proposta di fare del catechista un ministero stabile non è nuova. Però c’erano diversi ostacoli e si utilizzavano formule di compromesso.

Quali erano questi ostacoli?
Il fatto che non esistesse nella tradizione della Chiesa il ministero del catechista tra gli ordini minori, al contrario, per esempio, del lettore, che aveva una funzione simile a quella del catechista, perché non solo proclamava la Parola ma la spiegava anche. Inoltre, fino alla riforma conciliare, i ministeri erano legati alla preparazione al sacerdozio ed erano quindi esclusivamente maschili. Una volta che si è deciso di svincolarli dal sacerdozio, il primo passo è stato aprire ministeri come lettorato e accolitato ai laici. È mancato un po’ il coraggio di fare un passo in più: buona parte dei catechisti sono donne e finché i ministeri erano riservati agli uomini non si potevano tagliar fuori più di metà dei catechisti. Penso che la recente apertura dei ministeri alle donne abbia facilitato lo sblocco di questa discussione che andava avanti da tempo.

Nella lettera apostolica si fa riferimento esplicito ad alcuni documenti di san Paolo VI. Questa decisione di Francesco come si innesta nella linea conciliare?
Riprende l’auspicio di Paolo VI che, ristabilendo i ministeri di lettorato e accolitato anche per i laici, aveva indicato alle Conferenze episcopali di valutare l’istituzione di altri ministeri, come ostiario o esorcista, nel solco della tradizione. Direi che questa decisione si innesta nella scia del Concilio soprattutto per il riconoscimento del ruolo essenziale dei laici, dell’esistenza di una ministerialità nella Chiesa staccata dal sacramento dell’ordine. Una ministerialità  istituita, necessaria, pienamente integrata nella vita della Chiesa. È un passo avanti  importante e doveroso. In fondo è una fotografia della realtà, se ne prende atto.

Cosa cambierà per gli attuali catechisti?
Per chi è catechista da tempo, e sente magari una chiamata a fare di questo un impegno stabile (per qualcuno già lo è), potrebbe portare, d’accordo col parroco, al ministero istituito, probabilmente dopo una formazione aggiuntiva, per la quale dovremo aspettare le decisioni della Conferenza episcopale. Molti sono già catechisti istituiti in un certo senso, perché lo fanno da anni e sono una presenza continua. In altri casi, per chi svolge questo servizio da poco o lo inizierà in futuro, può essere una prospettiva nel momento in cui si sentirà chiamato a farlo. La questione è proprio quella della vocazione. Il documento dice che questi vengono chiamati ad essere catechisti. Non è un’autocandidatura. È una vera vocazione.

In un mondo che cambia rapidamente, quale dev’essere il ruolo di quello che potremmo chiamare “catechista 2.0”?
Rispetto al modello preconciliare certamente è cambiato tantissimo ma rispetto anche a 50 anni fa, già in epoca postconciliare, in realtà non molto, perché la figura del catechista era già quella del testimone della fede piuttosto che del maestro di dottrina, come accadeva prima. Siamo ancora nell’attuazione del Concilio. Il documento fa riferimento al Nuovo Testamento e ai primi tempi della Chiesa: alla fine l’idea è quella di tornare alle origini, ogni riforma della Chiesa è un ritorno alle origini. Quindi tornare all’apostolato delle prime comunità cristiane, dove sappiamo che c’erano donne che avevano ruoli di grande responsabilità, come  testimoniano le lettere di san Paolo. A livello di Cei il riferimento è il documento di base del 1970: la linea è quella ed è coerente, forse va approfondita ma non vedo rivoluzioni all’orizzonte.

Il Papa mette in guardia in maniera esplicita e ripetuta dai rischi di clericalizzazione del ministero. Può esserci il pericolo che, nonostante le indicazioni siano molto chiare, nella pratica possano essere eluse?
È un rischio sempre un po’ presente. Tuttavia, non credo che l’istituzione cambi molto da questo punto di vista. Anche ora ci sono figure nelle parrocchie un po’ “ingombranti”, del tipo “faccio il catechista da 30 anni e tutto deve ruotare intorno a me, deve passare da me”. Però mi sembrano veramente casi molto sporadici. A mio avviso quello che il Papa ha più a cuore è che non ci sia una perdita della peculiarità laicale del catechista, che non è un prete diminuito, è proprio il laico che deve essere pienamente inserito nella vita normale mentre il prete ne resta un po’ ai margini per la sua stessa scelta di vita. Il catechista invece dovrebbe essere una persona totalmente comune, senza alcuna caratteristica che lo distingua dagli altri, se non la fede. C’è il pericolo di considerare la parrocchia un luogo chiuso, a parte, fuori dal mondo in senso negativo mentre è importante proprio questo coinvolgimento del laicato.

17 maggio 2021