Gender ed educazione alla sessualità, una sfida centrale

A Santa Teresa d’Avila l’incontro con Comitato Articolo 26 e progetto Pioneer. Frigeri: «Tra donna e uomo differenze nel sangue e nel cervello»

A Santa Teresa d’Avila l’incontro con Comitato Articolo 26 e progetto Pioneer. Frigeri: «Tra donna e uomo differenze nel sangue e nel cervello»

Teorie del gender, sessualità infantile, famiglie omogenitoriali. Dalle parrocchie e dai genitori si leva un grido di aiuto per districarsi tra questi temi e, soprattutto, per proteggere i bambini da progetti educativi scolastici che suscitano più di un motivo di perplessità. Così, a seguito della richiesta della parrocchia di Santa Teresa d’Avila a Corso Italia, lunedì sera 18 maggio il “Comitato Articolo 26 – Genitori di Roma” e il “progetto Pioneer” – che elabora strategie di sostegno alla genitorialità, forma educatori e insegnanti e lavora per una nuova pedagogica dello sviluppo sessuale e sessuato – hanno organizzato all’interno della chiesa un incontro su questi temi con i genitori del quartiere Pinciano.

Claudia Frigeri, medico e membro del “Comitato Articolo 26”, ha spiegato i quattro assunti principali della “Teoria del gender”, elaborata dal sessuologo Alfred Kinsey e dal medico psicologo John Money e poi accolta dal femminismo degli anni ‘60. «La prima è che non esisterebbero differenze tra il maschile e il femminile. Dall’uguaglianza di diritti – ha spiegato Frigeri – si sta passando ad affermare che donna e uomo sono uguali. Tra maschio e femmina ci sono tante differenze, nel sangue e nel cervello, che è sessuato». In secondo luogo «l’identità prescinderebbe dal dato biologico ma sarebbe determinata da modelli culturali e sociali. Il dato biologico non avrebbe nessun peso». Di conseguenza, terzo caposaldo del “gender”, «nella persona, nella famiglia e nella società i ruoli sarebbero fluidi e interscambiabili». Da queste premesse, ha concluso Frigeri, la teoria del gender deduce che «la complementarietà naturale dei due sessi è un’ideologia, l’eterosessualità non è la norma».

«Gli studi di genere – ha spiegato Chiara Iannarelli, insegnante, anche lei membro del Comitato – vengono introdotti nelle scuole, almeno nelle intenzioni, per prevenire la discriminazione, il femminicidio, il bullismo omofobico. Ma per accogliere a scuola ragazzi con diverso orientamento sessuale non serve aderire a quello stesso orientamento o sostenere che è “fluido”. Inoltre – ha chiesto infine Iannarelli – come mai gli educatori delle nostre scuole vengono scelti tra associazioni femministe e lgbt?».

Teresa Silvi, psicologa sociale e delle organizzazioni, impegnata nel progetto Pioneer, ha parlato del documento “Standard per l’educazione sessuale in Europa”, scritto da studiosi tedeschi e del nord Europa, con una bibliografia prevalentemente in tedesco, che legittima qualche dubbio sulla sua scientificità. Intanto, ha detto Silvi, «lo stereotipo serve a categorizzare il mondo. Nominare un oggetto non significa discriminarne un altro. Il problema è quando lo stereotipo diventa pregiudizio». Ma qual è il momento di parlare al bambino di sessualità? «Quando ce lo chiede lui. Se dal bambino emergono delle esigenze è giusto dirgli la verità. Ma non deve essere l’adulto a imporre dall’alto degli orientamenti. I genitori conoscono le loro necessità meglio di tutti. Non ci sono delle ricette per insegnare ai bambini come vivere la loro sessualità. Non ne sappiamo abbastanza. Possiamo però dire che l’educazione all’emotività, alle relazioni buone e stabili sono degli ottimi predittori per una futura sessualità sana».

È molto complicato far valere la propria voce di genitori nelle scuole. Giuseppe Scicchitano, vicepresidente della commissione Scuola del municipio II, ha suggerito alcune strategie d’azione. «Bisogna fare molta attenzione al “Piano offerta formativa” delle propria scuola, che può contenere dei corsi sulla teoria del gender. Bisogna puntare alla collaborazione e mostrarsi sempre sereni nel sostenere le proprie tesi, altrimenti si viene additati come aggressivi e non si presterà più attenzione a quanto diciamo». Ancora, «ci si deve sempre focalizzare sul benessere dei bambini, partecipare alle assemblee o, almeno, delegare».

19 maggio 2015