Ristoranti, l’asporto non funziona

Preoccupazione della categoria di fronte alla chiusura dei locali. Due storie in città. Speranze dalla zona gialla decisa anche per il Lazio, dal 1° febbraio

Con un sospiro di sollievo e cauto ottimismo per il futuro i ristoratori hanno accolto i dati del monitoraggio settimanale che hanno riportato il Lazio in zona gialla già da lunedì 1° febbraio. Finalmente si potrà tornare a ricevere i clienti almeno all’ora di pranzo. Strappata via la locandina “Chiuso fino a nuove disposizioni” affissa sulle porte d’ingresso dei ristoranti da domenica 17 gennaio, da quando il Lazio era stato inserito in zona arancione, decretando la chiusura 7 giorni su 7 di ristoranti e bar consentendo solo l’asporto. I tavoli e le sedie, in alcuni casi accatastati sotto i gazebo, vengono risistemati in sala. Le cucine riprendono vita, si studiano i menù auspicando che non sia più necessario abbassare la saracinesca.

Finora, tanto nelle vie del centro quanto in quelle di periferia, una carrellata di saracinesche abbassate. Di tanto in tanto dalle vetrine si scorge una sagoma. Alcuni titolari approfittano della chiusura forzata per tinteggiare le pareti, mettere ordine nel locale o controllare gli alimenti in magazzino. «È anche un modo per impiegare il tempo», dice Angelo Coletti, titolare del ristorante “Ar Galletto”, osteria tipica romana a piazza Farnese. Dal 2012 l’attività si è spostata in locali nuovi, «sono stati investiti molti soldi e sono stati assunti dieci dipendenti. Il lavoro di una vita che rischia di andare in fumo».

Nonostante tutto Angelo si ritiene fortunato perché «fino ad oggi nessuno è stato licenziato. Con sacrifici, attingendo anche da risparmi personali, i dipendenti sono stati pagati, anche se hanno percepito meno rispetto a quando si lavora a pieno regime». Negli ultimi 40 anni l’osteria è gestita dalla famiglia Coletti e Angelo ha iniziato a lavorare come cameriere quando alla guida c’era il padre. «So cosa significa faticare in un ristorante – spiega -, sono padre di famiglia e non lascio per strada dieci dipendenti che in alcuni casi non hanno ricevuto neanche la cassa integrazione». Il servizio d’asporto non lo ha considerato perché «la spesa non vale l’impresa. Acquistare gli alimenti, avviare una cucina in attesa che arrivi un ordine non conviene. Il governo non ha la visione globale di quanto sta accadendo. Gli aiuti arrivati sono insufficienti. La speranza è quella di riaprire quanto prima».

Pur di non licenziare il personale e di non abbassare la saracinesca di un’attività di 30 anni c’è chi «infrange le regole accogliendo i clienti». È il caso di Hassan Yasser, titolare del ristorante “Chiaroscuro” in via Rimini, a San Giovanni. «Lavoriamo su un target medio alto e con i nostri clienti il servizio d’asporto non funziona molto – spiega -. Ho quindi deciso di accogliere chi si presenta avvisando che in caso di controlli è passibile di sanzione e qualcuno accetta». Nell’ultima settimana ha avuto solo quindici coperti che, aggiunti all’asporto, «hanno fatto incassare 2.800 euro. Governo e Regione – conclude – hanno sostenuto la categoria ma per un ristorante che ha 12 dipendenti e paga seimila euro di affitto, i ristori sono stati minimi e non sono serviti neanche a coprire le spese».

3 febbraio 2021