Anche l’Italia condanna gli arresti in Myanmar

La Farnesina chiede «l’immediato rilascio di Aung San Suu Kyi e di tutti i leader politici arrestati» e il «rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali»

Anche la Farnesina interviene in modo deciso contro i disordini che si registrano da questa mattina, 1° febbraio, in Myanmar. «L’Italia – si legge in una nota – condanna fermamente l’ondata di arresti e chiede l’immediato rilascio di Aung San Suu Kyi e di tutti i leader politici arrestati». Intanto nel Paese tutti i poteri sono stati trasferiti al generale Min Aung Hlaing, capo delle forze armate, e crescono i timori di un colpo di Stato. «La volontà della popolazione è chiaramente emersa nelle ultime elezioni e va rispettata», si legge ancora nella nota del ministero degli Affari esteri, in cui si sottolinea che come italiani «siamo preoccupati per questa brusca interruzione del processo di transizione democratica e chiediamo che vanga garantito il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali».

Preoccupazione anche da parte della Fai Cisl, presente in Birmania con l’associazione “Italia-Birmania insieme”. «L’arresto di Aung San Suu Kyi, del presidente U Win Mynt e di tante altre persone con importanti incarichi istituzionali, a un giorno dall’inaugurazione del nuovo Parlamento, rappresenta una deriva antidemocratica che va disinnescata immediatamente – affermano -. Coltiviamo la pace, la riconciliazione tra le etnie e i lavoratori agricoli nel Rakhine», rivolto ai contadini di tutti i gruppi etnici nelle township di Mrauk–U, nello Stato di Rakhine. Un progetto per lo sviluppo dell’agricoltura sostenibile, la tutela dei diritti delle donne e di tutti i lavoratori, la salvaguardia del patrimonio ambientale.

Nelle parole del segretario generale Onofrio Rota, «in queste ore non possiamo che essere in grande apprensione per le lavoratrici e i lavoratori agricoli impegnati nel progetto, inoltre non abbiamo comunicazioni dai loro rappresentanti locali ed è chiaro che le gravi azioni dei militari mettono a repentaglio anche la loro incolumità e tutte le libertà fondamentali della popolazione». Proprio nell’area di Rakhine, ricorda, «era stato costruito a fatica un negoziato di pace che l’attuale situazione manderà probabilmente in fumo, con conseguenze pesanti sulla vita nei villaggi coinvolti, sulle libertà e i diritti dei lavoratori, sui processi di pacificazione tra gruppi etnici». Di qui l’appello all’intervento della comunità internazionale, con «tutte le misure possibili per scongiurare il tentativo di ripristinare la dittatura militare contro la grande domanda di libertà e democrazia espressa in questi anni a gran voce da tutto il popolo birmano».

Fai-Cisl si associa all’appello dell’associazione “Italia-Birmania Insieme” per l’immediata liberazione di tutte le personalità arrestate, a partire dalla leader birmana Aung San Suu Kyi e dal presidente U Win Mynt, e affinché il Consiglio di sicurezza dell’Onu e i governi, a partire dall’Italia e dalla Ue, «adottino tutte le misure necessarie, incluse le sanzioni politiche ed economiche finalizzate a bloccare i grandi interessi economici e politici dei militari, perché vengano ripristinate immediatamente le libertà fondamentali e si convochi il Parlamento eletto liberamente dalla volontà del popolo birmano».

1° febbraio 2021