Don Pietro Strappa: una vita in confessionale

Il sacerdote è deceduto nella casa di cura dove era ricoverato. Le esequie il 13 gennaio in Laterano, con il cardinale De Donatis. Il ricordo del vescovo Mani

«Una vita spesa in confessionale o nel suo studio privato a ricevere chiunque avesse bisogno di una guida spirituale. Definirlo un sacerdote unico è riduttivo». È così che don Claudio Falcioni, parroco di San Policarpo, ricorda monsignor Pietro Strappa morto ieri pomeriggio, 11 gennaio, nella Casa di cura “Nostra Signora della Mercede” dove era ricoverato. Aveva 70 anni. Questo pomeriggio nella parrocchia di San Policarpo, dove era vicario parrocchiale dal 1988, sarà allestita la camera ardente. Domani mattina, 13 gennaio, la salma raggiungerà la basilica di San Giovanni in Laterano dove alle 10.30 si terranno i funerali presieduti dal cardinale vicario Angelo De Donatis.

Ordinato sacerdote il 9 novembre 1974, monsignor Strappa era stato prima vicario parrocchiale della parrocchia dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, nel quartiere Trieste, dal 1974 al 1980. Aveva quindi assunto la direzione spirituale del Pontificio Seminario Romano Maggiore dove è rimasto fino al 1987 (anche se continuava ad andare una volta alla settimana come confessore straordinario) prima di essere trasferito a San Policarpo, all’Appio-Claudio. «Aveva perso la vista oltre trent’anni fa – ricorda ancora don Claudio -. Il non poter più leggere è stato per lui una grande sofferenza ma ha vissuto in modo esemplare anche la malattia». Per aiutarlo, parrocchiani ed ex studenti del Seminario in questi anni si sono offerti di leggergli i giornali o di registrargli i libri. Non potendo più studiare trascorreva le sue giornate in confessionale dove accoglieva «decine di preti e vescovi».

Don Falcione descrive monsignor Strappa come un sacerdote «con una spiritualità incredibile e una umanità unica. Aveva un’attenzione eccezionale tanto per la parola di Dio quanto per quella di chi bussava alla sua porta e aveva bisogno di conforto. Nonostante fosse malato da tempo, è sempre stato premuroso verso gli ultimi, dispensando consigli a chi si rivolgeva a lui». Il vescovo Giuseppe Mani lo aveva conosciuto negli anni’70 in Seminario. «Era l’icona del prete classico: corona in mano, silenzioso , seduto o in cammino verso il suo confessionale – scrve sul suo sito internet ricordando l’amico sacerdote -. Le anime si conquistano con la preghiera e la croce e don Pietro se l’è conquistate tutte pagandole unendo il suo al Sangue di Cristo». Negli ultimi tre anni il suo stato di salute era progressivamente peggiorato «fino a ridurlo nelle condizioni del povero Giobbe» ma monsignor Mani osserva una differenza sostanziale tra il patriarca e monsignor Strappa, racchiusa nel concetto di amicizia. «Giobbe –  scrive il presule – ebbe gli amici che ben conosciamo, don Pietro invece figli e figlie fedelissimi che lo hanno aiutato a portare la Croce fino alla fine. Aveva davvero insegnato loro a servire Cristo nei malati».

Don Pietro, afferma infine monsignor Mani, «era prete fino in fondo e sapeva cosa il Signore voleva da Lui, come realizzare il suo sacerdozio, come partecipare al sacrificio di Cristo. Adesso vede non soltanto il nostro presente ma anche il nostro futuro, quel dopo coronavirus che tutti cerchiamo di immaginare e a cui può adesso collaborare  perché la nostra strada sia quella percorsa da Cristo che sarà necessariamente in salita verso il Calvario perché “dalla Croce non si scende, si risorge”».

12 gennaio 2021