Condividere ciò che viviamo aumenta la capacità di resilienza

Crescono lo stress da pandemia e la polarizzazione dei comportamenti. La gioia grande assente. Ritagliarsi spazi per dare corpo alla fiducia

Nelle ultime settimane, in particolare da quando l’Italia ha iniziato a dipingersi degli ormai famosi colori giallo, arancione e rosso, mi vengono sempre più spesso rivolte le seguenti domande: “Come stanno affrontando questa fase le persone? E hai registrato un aumento delle loro difficoltà?”; “Cosa pesa di più in questa fase?” Per rispondere a queste domande bisogna fare estrema attenzione ai fattori che influiscono sulla qualità del benessere di ogni individuo, avendo cura di prendere in considerazione i diversi stimoli a cui ognuno è sottoposto.

Se fino ad oggi abbiamo letto e scritto quasi esclusivamente dell’impatto della pandemia in termini di trauma e della relativa gestione dell’ansia, della paura e della tristezza conseguenti, adesso emergono anche i vissuti legati alla nuova normalità: una quotidianità scandita da regole che fanno parte di un ampio spettro di strategie connesse, sì al contenimento dell’emergenza, ma anche come una serie di indicazioni comportamentali utili al miglior adattamento possibile alla realtà, di cui il virus e il possibile contagio fanno inevitabilmente parte.

Purtroppo avanza ogni giorno di più un senso di fatica (fino ad una vera e propria negazione) nei confronti di queste misure. L’Organizzazione mondiale della sanità ha stilato un documento sulla “Pandemic fatigue”, ovvero tutti quei segni di stanchezza e stress nella popolazione derivanti dal perdurare della pandemia: una demotivazione delle persone nel mettere in atto comportamenti protettivi raccomandati per la tutela della salute dei singoli e della comunità. Convivendo per lungo tempo con la pandemia si affacciano, dunque, sentimenti di stanchezza nel sostenere psicologicamente la minaccia costante del virus: aumenta la sensazione di intollerante perdita della propria libertà personale e il fastidio per le restrizioni, con la percezione sempre più crescente di perdita della propria autonomia.

Assistiamo a un ribaltamento di quella che, subito dopo il lockdown, è stata definita la “sindrome della capanna”, ovvero quel senso di smarrimento che implica la voglia di continuare a rimanere al sicuro nel proprio rifugio. È necessario specificare che continuano a convivere comportamenti che vanno in entrambe le direzioni: osserviamo persone che sottostimano o sovrastimano le informazioni provenienti dalla realtà circostante e le emozioni correlate. Ciò che accomuna queste due possibili reazioni è l’estrema polarità dei comportamenti che le persone agiscono: in un caso gli individui vengono mossi da sentimenti di forte paura, da ansia e preoccupazione per cui qualunque contatto con l’esterno viene evitato; nell’altro troviamo individui che tendono sempre di più a negare il rischio collegato al virus e si scagliano contro ogni tipo di restrizione tacciandola per esagerata, fino a ritenerla parte di un complotto. In che modo possiamo mettere insieme tutto questo e dargli un senso?

La prima parola chiave è perdita: di vite umane, delle nostre certezze, delle nostre abitudini e della mappa per orientarci su un terreno che ha cambiato forma. Affrontiamo ogni giorno il lutto (psicologico) di condividere il tempo con gli amici e la famiglia, di non trovare i modi conosciuti fino ad ora per nutrire le nostre passioni, gli interessi. Abbiamo perso molti canali per sentirci riconosciuti, attività da cui traevamo soddisfazione. Molte persone sono accompagnate da un senso di vuoto e di abbandono che spiegano l’intensità delle strategie comportamentali messe in atto per far fronte ad una realtà imprevedibile che muta di giorno in giorno. Possiamo leggere queste dinamiche come un rifiuto dell’impatto emotivo che la quotidianità ci pone costantemente di fronte: paure legate all’incertezza del lavoro, tristezza connessa alla solitudine e al necessario distanziamento fisico (però spesso percepito come distanziamento affettivo), rabbia per la sensazione di costrizione a cui si è sottoposti.

La grande assente in questa analisi è la gioia: negli ultimi mesi sembra essere finita sullo sfondo delle nostre esperienze. In un periodo di crisi personale e sociale a molti sembra inadeguato soffermarsi sulla necessità di godere e festeggiare i propri successi o semplicemente regalarsi dei momenti di svago e divertimento. Sebbene i contesti in cui festeggiare debbano inevitabilmente cambiare, è davvero importante ritagliarsi uno spazio sia interno (dirsi che va bene essere contenti di sé anche se altri in quel momento non lo sono) che esterno in cui gioire e condividere il proprio stato d’animo con chi abbiamo vicino. Fare questo aumenta la capacità di resilienza, cioè favorisce un senso di fiducia in se stessi e delle capacità di affrontare situazioni di stress e pericolo.

Ho ancora davanti la soddisfazione di una coppia che ha deciso di festeggiare il proprio anniversario regalandosi una notte di svago con cena inclusa in un albergo a pochi chilometri da casa e la gioia di un ragazzo che ha lottato fino alla fine per laurearsi dal vivo nella città dove ha studiato (in cui non risiedeva più) per godersi la sua discussione. (Guido Palopoli, psicologo e psicoterapeuta)

 27 novembre 2020