«Riapriamo le scuole: sono solo un medico, ma chiedo che sia la priorità»

Appello di Stefano Vicari (Bambino Gesù): «Dalla Cina arrivano i primi studi sull’effetto del lockdown: aumentano disturbi del sonno e irritabilità»

Si fa presto a dire “didattica a distanza”: in realtà, però, ci si dovrebbe pensare di più, o meglio ci si dovrebbe ripensare. Nei giorni scorsi è stato lo stesso Silvio Brusafferro, presidente dell’Iss, a raccomandare che la didattica a distanza sia «di breve periodo», per l’impatto che essa ha sulla salute psicofisica dei ragazzi. Abbiamo chiesto un parere a Stefano Vicari, professore ordinario all’Università Cattolica e Primario di Neuropsichiatria infantile all’Ospedale pediatrico Bambino Gesù, già intervenuto sul tema. Oggi, con alcune regioni che tornano ad essere “zona rossa” e i ragazzi delle scuole superiori tutti in didattica a distanza, Vicari rilancia il suo appello: «Riapriamo le scuole prima possibile. Stiamo ora iniziando a vedere gli effetti della chiusura sulla popolazione dei minori. Dobbiamo fare in modo che questi effetti non si aggravino».

Dottor Vicari, pensa ancora, come medico, che l’Italia si salvi, anche dal virus, solo con la scuola?
Lo credo e sono pronto a riaffermarlo. Sono solo un medico, vorrei precisare, ma di questo sono convinto. E mi pare che anche il governo lo abbia capito, visto che oggi c’è una grande attenzione al tema della scuola e diffusa è la richiesta che questa resti aperta, almeno per i cicli inferiori. Certo, va detto che i ragazzi delle scuole superiori non sono immuni dalle conseguenze di questa chiusura. E oso dire che forse avremmo dovuto fare di più per evitarla.

In che modo?
Innanzitutto organizzando meglio i trasporti: perché non sono stati coinvolti i pullman privati, in questo momento per lo più inattivi, o i mezzi militari, di solito molto solerti nel rispondere ai bisogni della popolazione? In questo modo avremmo evitato il sovraccarico dovuto agli spostamenti dei ragazzi delle superiori. E poi avremmo dovuto lavorare sulla paura dei docenti.

Cosa intende?
Ho l’impressione che non siamo stati capaci di rassicurare gli insegnanti sulla possibilità di evitare il contagio nel contesto scolastico. Nei docenti che incontro c’è molta paura venire infettati a scuola. Se a luglio e agosto avessimo fatto formazione per loro, spiegando come il contagio avviene e come si possa evitare, se avessimo messo in campo fin da subito una frequenza non tradizionale, ma magari a turni, forse saremmo riusciti ad evitare la chiusura delle scuole superiori (e anche della prima e seconda media, in alcune zone). Io capisco la paura degli insegnanti, ma sono le stesse preoccupazioni che hanno medici e infermieri. È questo che vorrei dire oggi ai docenti: se il supporto sanitario è indispensabile, anche della loro attività non possiamo farne a meno.

La didattica a distanza proprio non le piace?
Dico che non possiamo illuderci che questa distanza non abbia effetti negativi sui ragazzi. Certo come soluzione rassicura molto ma anche questo è un pensiero irrazionale: ci sono studi che dimostrano che la mortalità a scuole aperte o chiuse varia solo dell’1%. Questo dimostra che l’impatto della scuola sulla diffusione del virus è davvero limitato. Al contrario, può essere molto pesante l’impatto della chiusura sui ragazzi e in particolare sui nostri pazienti.

Ci sono dati in proposito?
Sì, iniziano a esserci i primi lavori scientifici, soprattutto cinesi, che documentano come la popolazione dei minori mostri un aumento marcato dei disturbi del sonno e dell’irritabilità, per effetto del lockdown. D’altra parte, lo abbiamo rilevato anche noi, tra i nostri pazienti. Possiamo oggi dire con certezza che il lockdown è un fattore di rischio. Iniziamo ad avere dati anche su quelle che chiamiamo “popolazioni speciali”, ovvero bambini e ragazzi con disturbo neuropsichiatrico. In questo caso, ci sono due aspetti da evidenziare. Primo, se hanno potuto mantenere un trattamento, anche a distanza, l’impatto sull’accentuazione dei disturbi è minore; al contrario, se c’è stata sospensione del trattamento, verifichiamo ricadute più importanti sulla difficoltà di gestione dei comportamenti critici e un aumento disturbo del sonno. Il secondo aspetto è questo: il 12% dei nostri pazienti mostra miglioramenti nel proprio disturbo: accade per chi ha una fobia sociale, o una tendenza alla depressione. È però un miglioramento solo apparente: è evidente che, una volta che la situazione tornerà alla normalità, questi ragazzi faranno fatica a riprendere la vita sociale. Abbiamo fatto un questionario su 180 dei nostri pazienti: ci riferiscono di aver trascorso, durante il lockdown, almeno quattro ore in più sul letto a guardare il soffitto, oppure tra chat e videogiochi. È chiaro che l’isolamento determina un cambiamento in questi ragazzi (e non solo in loro, presumo), che trascorrono più tempo ad annichilirsi, riducendo formazione e socializzazione.

E gli effetti della didattica a distanza?
Per i nostri pazienti, questa funziona molto poco. Bisogna fare di tutto per creare condizioni favorevoli agli apprendimenti. Tutto ciò che è in presenza è per loro di grandissima utilità ma naturalmente va garantita l’integrazione, che non si può fare in un’aula senza compagni. Mi pare che le ultime indicazioni del ministero siano a tal proposito molto sensate. D’altra parte, la didattica a distanza ha pesanti ricadute anche sui ragazzi che non presentano disturbi e può essere un elemento che favorisce la comparsa di malessere. La didattica a distanza riduce la possibilità per i ragazzi di ammortizzare l’effetto della pandemia: hanno bisogno di parlare di quello che sta accadendo e devono poterlo fare guardandosi negli occhi. A chi dice che la didattica a distanza è efficace, rispondo che la scuola non è solo didattica, ma è quell’incontro e quella vicinanza di cui i ragazzi hanno bisogno. Per questo chiedo che, quanto prima, le scuole riaprano per tutti. (Chiara Ludovisi)

9 novembre 2020