Padre Mazza, il Vangelo tra i poveri della Thailandia

Il sacerdote romano, missionario del Pime, bloccato in Italia dalla pandemia, racconta la sua esperienza. «A fare la differenza è l’umanità incontrata»

«Vivere la missione significa trasmettere e condividere la bellezza dell’esperienza cristiana». Padre Daniele Mazza, 43 anni, missionario del Pime, esprime con queste parole il significato più profondo e autentico di missionarietà. Un impegno quotidiano che ha orientato tutta la sua vita e che si è concretizzato nel 2008, quando ha accettato di prestare servizio presso la parrocchia di Nostra Signora della Misericordia, nell’arcidiocesi di Bangkok, in Thailandia. «Ormai mi trovo in Italia da luglio – racconta il sacerdote romano -. Sono rimasto bloccato qui a causa dell’emergenza sanitaria, ma spero di ripartire il prima possibile». Una passione per l’attività evangelizzatrice che lo ha spinto non solo a dedicarsi al dialogo interreligioso ma anche a promuovere, in questi dodici anni nel sud-est asiatico, attività legate all’educazione e all’assistenza degli anziani, dei bambini disabili e abbandonati. «Sono cinque le case-famiglia presenti sul territorio che accolgono bambini dai 3 anni e ragazzi fino ai 17 anni – spiega padre Daniele -. Il nostro compito consiste nel formare gli educatori e, insieme a loro, accompagnare ciascun giovane nel proprio percorso di crescita. A tal proposito, sono due gli obiettivi che ci poniamo: favorire il rientro nel nucleo familiare o, qualora non sia possibile, creare le condizioni per un’indipendenza». Ed è anche grazie a questi ragazzi che il sacerdote ha trovato il coraggio di operare nelle carceri e nelle baraccopoli, «luoghi di concreta evangelizzazione».

Particolarmente sentito, inoltre, è stato l’impegno di padre Daniele a favore degli anziani e dei malati, spesso lasciati soli a se stessi. «Per mitigarne la solitudine, organizzavamo delle visite, coinvolgendo anche i bambini del catechismo – prosegue -. Alla fine di ogni incontro li invitavo ad abbracciare queste persone, che non necessariamente erano cattoliche. Era questo un modo molto pratico di annunciare il Vangelo». La parrocchia infatti copre un’area molto vasta, dove i cattolici sono circa un migliaio su una popolazione di 500mila persone. «In questi anni, così come nel corso dell’emergenza sanitaria, abbiamo promosso diverse iniziative di carità insieme all’imam e all’abate locale – racconta ancora il missionario -. Buddisti, cristiani e musulmani hanno, ad esempio, fatto visita ad anziani e ammalati nelle baraccopoli. Un’esperienza inedita che dovrebbe essere, a mio avviso, la cosa più naturale del mondo; come ci ricorda infatti Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”, ciascuno di noi è figlio di un unico Padre».

Essere fratelli, prosegue il sacerdote, significa dunque «vivere come compagni di strada che camminano assieme verso l’altro». Una dimensione, quella della fraternità, che richiede, secondo padre Daniele, una lunga opera di ascolto e dialogo: «Ad aver fatto la differenza è l’umanità incontrata – confida -. La bellezza dell’incontro mi ha permesso di stringere tante belle amicizie che hanno portato a un dialogo autentico e alla richiesta di insegnare cristianesimo nell’università in cui stavo conseguendo il master in buddismo». Durante il corso «ho portato i monaci in un centro di bambini disabili per un “assaggio” di esperienza cristiana. Al termine, molti di loro mi hanno confessato di aver compreso il valore dell’amore».

9 novembre 2020