Il coronavirus e gli anziani, Sant’Egidio: «Proteggere ma non isolare»

Il presidente Impagliazzo fa il punto sulle carenze venute a galla negli scorsi mesi. Ed elenca alcune proposte, a cominciare da assistenza domiciliare integrata e co-housing. «Sappiamo che di solitudine si muore»

Durante la seconda ondata di Covid, la Comunità di Sant’Egidio si schiera con gli anziani, per cercare di migliorare le loro condizioni di vita durante la pandemia. Raccontare storie di ingiusta solitudine, dare voce a chi in questi mesi non ha potuto parlare ma anche e soprattutto lanciare proposte e soluzioni concrete per migliorare le condizioni di vita della popolazione anziana durante e oltre il Covid-19. Questi gli obiettivi della conferenza stampa che si è svolta questa mattina, 6 novembre, nella Sala Conferenze della Comunità, nel cuore di Trastevere, in diretta streaming. Il filo conduttore: l’obiettivo “Mai più soli, per proteggere ma non isolare”.

Il presidente Marco Impagliazzo ha denunciato le gravi mancanze che sono venute a galla negli scorsi mesi, soprattutto nelle case di cura e nelle realtà residenziali. «In estate – ha esordito – è stato fatto troppo poco per permettere agli anziani di poter ricevere in sicurezza parenti e amici e sappiamo che di solitudine si muore. Quello che chiediamo, nonostante le varie restrizioni, è che nelle strutture siano messe in atto tutte le misure necessarie per garantire un qualche contatto con l’esterno», ha spiegato.

I volontari della Comunità di Sant’Egidio, ha riferito il presidente, «hanno verificato che i sistemi di videochiamata non funzionano quasi mai adeguatamente e il conseguente isolamento degli anziani non fa altro che aggravare la loro situazione medica e psicologica»,  arrivando, come accaduto da marzo a oggi, a moltissimi casi «di decessi in assoluta solitudine». Per questo, secondo Impagliazzo, è necessario «ripensare il sistema della residenzialità per gli anziani», poiché non è pensabile operare avendo le case di cura e di riposo come unica soluzione da offrire alla popolazione anziana.

Dal presidente di Sant’Egidio anche una serie di proposte e possibili soluzioni. In primis, ha evidenziato, «bisogna allargare l’assistenza domiciliare integrata, che in Italia è irrisoria. Ogni anno – ha denunciato Impagliazzo – solo 16 ore di assistenza sono assicurate a ogni anziano. Fingiamo – ha ribadito – che ci sia una rete territoriale presso le dimore private ma la realtà è ben diversa perché le uniche persone che possono assicurare l’assistenza sono le badanti», oltre un milione in Italia ma in molti casi ostacolate da problemi burocratici e di regolarizzazione. Un’altra proposta è quella dell’allargamento del cosiddetto co-housing, ovvero l’uso di alloggi privati corredati da ampi spazi comuni destinati alla condivisione. Possibile solo, come ha spiegato Impagliazzo, con una serie di «incentivi, alloggi protetti e contributi negli affitti», anche per «dare la possibilità di autodeterminazione agli stessi anziani per cambiare casa o andare a vivere con altre persone».

La denuncia di Sant’Egidio si è poi allargata verso la «mancanza di linee guida per permettere a figli, nipoti e amici di poter far visita e avere informazioni sui propri anziani e i propri cari». Una denuncia che «vuole essere la voce degli anziani che non hanno voce». In tal senso, durante il primo lockdown, fondamentale è stato il programma “Viva gli Anziani”, lanciato da Sant’Egidio già dal 2004. Il monitoraggio degli over80, attualmente in Lazio, Liguria e Piemonte, ha permesso di fare rete e ridurre la mortalità di circa il 20%. Una realtà che, secondo Impagliazzo, andrebbe allargata a tutto il territorio nazionale proprio in queste settimane. Gli anziani, ha concluso il presidente della Comunità, «sono e saranno sempre una risorsa, al di là se producono o meno. Stargli accanto significa crescere e diventare persone migliori ma soprattutto eliminare quella che è a tutti gli effetti la patologia dell’isolamento».

6 novembre 2020