Coronavirus, test rapidi dal medico di base. I dottori: perplessità e problemi

Il 16 ottobre il termine per dichiarare la propria disponibilità. Il segretario regionale Fimmg Lazio Cirilli: «Non si vuole forzare nessuno. Se dovessimo registrare 250 adesioni sarà una scommessa vinta». L'obiettivo: potenziare la rete di sorveglianza regionale

Scade domani, venerdì 16 ottobre il termine ultimo per i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta per presentare la domanda con la quale dichiarano la propria disponibilità a eseguire i tamponi rapidi nei propri ambulatori. I test rapidi (o antigene), ricordiamo, rilevano l’eventuale presenza del virus in persone infette e forniscono una risposta positiva o negativa nell’arco di 30 minuti. Frutto di un accordo siglato tra la Regione Lazio e le associazioni di categoria, il bando vede tra i sostenitori la Fimmg, Federazione italiana dei medici di medicina generale. Lo scopo, spiega il segretario regionale del Lazio Giovanni Cirilli, «non è quello di raccogliere una grande messe ma gettare un seme. L’obiettivo è quello di riportare la medicina generale alla diagnosi di primo livello negli studi medici». La possibilità di effettuare i tamponi rapidi negli studi medici aiuterebbe a smaltire le lunghe file che si stanno creando nei 40 drive-in del Lazio e nei laboratori privati. Per quanto riguarda questi ultimi, dall’assessore regionale alla Sanità Alessio D’Amato arriva l’invito ad accelerare i tempi perché «finora su 94 strutture che hanno manifestato l’interesse e la dichiarazione di inizio attività, solo una decina sono operative alla tariffa concordata».

A 24 ore dalla chiusura del bando riservato ai medici di base, a Roma sembrerebbe prevalere un netto “no”. «Non se ne parla neanche – tuona Marco Andreoli, che ha studio nel territorio di competenza della Asl Roma 1 -. Dovesse capitarmi un solo caso di paziente positivo si creerebbe il caos. Bisognerebbe sanificare tutto il condominio». Una delle criticità sollevate dai professionisti, infatti, è che molti esercitano la propria attività in stabili condominiali. In alcuni casi ai piani bassi ma non è raro trovare studi medici attrezzati in appartamenti al terzo o al quarto piano. Se dal tampone dovesse emergere una positività al Covid-19 sarebbe necessaria la sanificazione di scale, ascensori, pianerottolo, «con il pericolo di mettere in quarantena un intero stabile e con il successivo rischio di sollevare ostilità da parte dei condomini», osserva un altro medico che opera a Ostia.

coronavirus contagio 2019-nCoV, COVID19, Sars-CoV-2Secondo Cirilli, «si sta generando una cultura della paura» che si può arginare solo con una corretta informazione. «I medici, come tutti, sono spaventati da ciò che non conoscono – aggiunge -. Bisogna riflettere sul fatto che nessuno dei giovani medici di medicina generale impegnati per svolgere attività nell’Unità speciale di continuità assistenziale regionale (Uscar) si è infettato e bisogna evidenziare questo dato». In merito alla preoccupazione dei condomini riflette che oggi il virus si chiama Covid-19 ma nessuno «si crea problemi quando arriva un caso di morbillo, di ebola o di tubercolosi, come è successo». Ma le osservazioni dei medici di base sono tante. Spostandosi in zona Casilino, il timore di una giovane dottoressa è quella di «allontanare» i propri pazienti, specie gli anziani. «Potrebbero spaventarsi del fatto che nello studio accedono potenziali infetti e decidere di rimandare la visita. Quanti nel pieno dell’emergenza sanitaria hanno trascurato i propri sintomi aggravando le loro condizioni di salute pur di non accedere ai pronto soccorso?».

Più o meno simili le rimostranze in zona piazza Bologna, dove un medico non se la sente «di far correre rischi inutili ai pazienti». Opera nello stesso studio da oltre vent’anni, conosce tutti, non vuole «mettere in pericolo nessuno». Al Tufello, invece, c’è chi si lamenta «per il super lavoro a cui i medici sono stati sottoposti in questi ultimi mesi. Ci manca solo che il tampone». A Colli Aniene, ancora, preoccupano i tempi che «si allungherebbero inevitabilmente. Riceviamo solo su appuntamento – dice un medico -, nei 30 minuti di attesa per la risposta del test rimarrei ferma con il rischio di allungare l’attesa dei pazienti».

Il segretario regionale della Fimmg Lazio rimarca che «non si vuole forzare nessuno. Darà la propria disponibilità chi se la sente ed è nella possibilità di farlo. Se nel Lazio dovessimo registrare 250 adesioni sarà una scommessa vinta. I medici devono continuare a fare un’operazione enorme già fatta in questi mesi. Devono favorire il distanziamento, visitare solo su appuntamento, evitare assembramenti negli studi. Vogliamo che si lavori con tranquillità, serietà e con il cuore. Nessuna penalizzazione per chi non aderisce». Allo stesso tempo Cirilli osserva che il territorio ha necessità che si potenzi la rete di sorveglianza regionale per il Covid-19. «È fondamentale – conclude – per andare incontro ai ragazzi che si ammalano per qualsiasi motivo e non possono rientrare in classe se prima non fanno un tampone, per rispondere alle esigenze di chi deve sottoporsi a un intervento e non può accedere in ospedale senza test. Contiamo che ci sia un comune sentimento di servizio».

15 ottobre 2020