Quando la solidarietà passa dal campo di pallone

Nasce a Roma la prima rete di “Calcio solidale”, voluta da Campidoglio e Roma Solidale. Coinvolte oltre 40 organizzazioni. Obiettivo: integrazione

Nasce a Roma la prima rete di “Calcio solidale”, voluta dal Campidoglio insieme alla Fondazione Roma Solidale. Coinvolte oltre 40 organizzazioni. Obiettivo: integrazione

L’unione fa la forza. Lo sanno bene le 42 organizzazioni che nel territorio di Roma si occupano di sport solidale. L’assessorato a Scuola, Sport, Politiche giovanili e Partecipazione di Roma Capitale, con la collaborazione della Fondazione Roma Solidale Onlus, le ha censite (dal 4 marzo al 10 aprile, il monitoraggio è ancora in corso) e riunite in una rete di collaborazione, un progetto dal titolo promettente: “Calcio solidale, una rete, una città, il nostro campo”.

Il primo frutto di questa aggregazione è il torneo “Pallone integrato” che ha coinvolto, sabato e domenica scorsi (18 e 19 aprile), sei compagini di calcio solidale: Ardita, Calciosociale, Sporting United, Liberi Nantes, Spartak Lidense e la Totti Soccer School. In seguito, come recita una nota di “Calcio solidale”, la Rete sarà coinvolta nell’«attivazione di spazi interattivi di incontro e confronto, trasversali ai mondi dello sport, del sociale, della cultura, rivolti non solo a chi pratica l’attività sportiva, bensì l’intero territorio, mirando a creare intorno a sé una comunità». Altra priorità, aggiunge la nota, sarà la «facilitazione e il consolidamento di un rapporto attivo con le istituzioni, per promuovere il riconoscimento delle pratiche di calcio sociale quale realtà positiva e consolidata».

In alternative alle “ruspe”, evocate di recente da qualcuno proprio contro i rom, il calcio può essere autentico strumento di amicizia e integrazione. «Si può far uscire un bambino da un campo rom e farlo giocare a calcio. Mi hanno già contattato 3 centri anziani – ha detto Francesca Danese, assessore alle Politiche Sociali, Salute, Casa ed emergenza abitativa di Roma Capitale – che vogliono partecipare. Roma deve lavorare molto sulla riapertura delle periferie. La qualità della vita di una città passa anche attraverso lo sport. Il calcio solidale è un lavoro concreto, inclusivo, di ricucitura e riconquista della cittadinanza. Con 3.400 persone coinvolte nelle azioni di calcio solidale, sono medici psicologi, educatori, animatori e tecnici di decine di organizzazioni del privato sociale, è la fabbrica della comunità reale, accogliente, che abbatte ogni tipo di barriera fisica, linguistica, culturale».

Maurizio Saggion, direttore Fondazione Roma Solidale, definisce il progetto “Calcio solidale” l’«Armata Brancapallone»: «Esperienza nata all’inizio del 2015 da sei organizzazioni. Oggi siamo più di 40. Qui non si cercano campioni del calcio. Il calcio non è un obiettivo, ma uno strumento per la cittadinanza. Non è un’iniziativa estemporanea, ma vuole consolidarsi e generare futuro». «Il calcio è un pretesto – aggiunge Paolo Masini, assessore alla Scuola, Sport, Politiche giovanili e Partecipazione di Roma Capitale –noi sogniamo una città con le ginocchia sbucciate. Troppe Play Station ci tengono chiusi in casa. La rete del Calcio solidale, la prima in Italia, fa sì che l’attività sportiva rappresenti la fonte di riscatto sociale per tanti e un’occasione di riflessione per tutti».

Salvatore Paddeu, allenatore degli “Ercolini di Don Orione” accompagna allo Stadio Olimpico, dove l’iniziativa “Calcio solidale” è stata presentata venerdì scorso 17 aprile, una ventina di bambini rom. Gli “Ercolini” non hanno una sede, ma li ospita la parrocchia di San Lorenzo e Sant’Urbano a Prima Porta. «Nel 2004 – spiega l’educatore – insieme al vescovo di Ascoli Piceno, Giovanni D’Ercole, abbiamo creato un’associazione di volontariato. Lavoriamo con i ragazzi rom e quelli delle case famiglia. Quest’anno abbiamo tesserato quasi 90 ragazzi di tre campi rom, ma i più vengono dal campo “River” di Prima Porta. Gli offriamo un’alternativa attraverso lo sport. Dagli 11 anni in su si iscrivono al campionato US Acli. Gli “Ercolini” hanno una regola: solo chi frequenta la scuola e porta dei risultati viene convocato a giocare. Il nostro moto è “gioca chi studia”. Non avendo una sede, per ora facciamo attività sportiva in quei centri che ci ospitano. Quest’anno ci ospita per esempio l’associazione Roma Nord a Prima Porta. Il nostro sogno è avere un “Villaggio degli Ercolini”: una casa famiglia e un laboratorio professionale per recuperare ragazzi rom. Questa è la vera integrazione. Non sistemarli in un campo e dimenticarsi di loro».

20 aprile 2015