Don Luigi Di Liegro, sacerdote «chino sui più poveri e bisognosi»

La Messa a 23 anni dalla morte del fondatore della Caritas diocesana con il vescovo Ricciardi. «I suoi sogni hanno aperto percorsi che durano ancora»

Una vita spesa ad abbattere le barriere, sociali e culturali, facendosi prossimo degli ultimi. Con questa immagine, quella di un sacerdote «chino sui più poveri e bisognosi, vicino a tutti e a ciascuno», il vescovo ausiliare Paolo Ricciardi ha ricordato ieri sera, 12 ottobre, don Luigi Di Liegro, nella Messa di suffragio presieduta, nel XXIII anniversario della morte, nella basilica dei Santi Apostoli, a pochi passi da piazza Venezia. «Affamato di Dio e della Parola, che meditava profondamente – ha detto il presule nella sua omelia -, don Luigi ha vissuto l’amore rivoluzionario di un Dio che si è fatto uomo, per andare incontro all’uomo», insegnando «a non fare la carità ma a viverla, divenendo lui stesso carità, sperimentando quell’agape fraterna di cui parla san Paolo».

Ripercorrendo le tappe principali della vita di don Di Liegro, fondatore e primo direttore della Caritas di Roma, «dal suo primo incarico, nel 1953, come viceparroco di San Leone Magno al Prenestino alla promozione del Convegno sui mali di Roma, nel 1974», Ricciardi ha sottolineato «l’impegno e la capacità di mettere in luce le mancanze di una intera città, incoraggiando i cristiani a impegnarsi nel e per il sociale, avendo colto l’estraniazione delle periferie esistenziali e avendo intuito che c’era bisogno di una Chiesa vicina, capace di accogliere davvero». In particolare, don Luigi nel 1969, con il Centro di Studi sociali della Gregoriana, diede vita alla prima “Indagine sociologica sulla religiosità dei cristiani di Roma”, che mise in luce la divaricazione tra una fede professata e le scelte concrete sul piano etico e sociale che gli stessi cittadini dichiaravano di seguire. Questa divaricazione, come spiegò lo stesso Di Liegro, fu tra i motivi ispiratori del convegno romano del febbraio 1974, convocato dall’allora cardinale vicario Ugo Poletti.

Anche se «non sempre i sogni di don Luigi hanno trovato una strada e visto piena realizzazione – ha detto ancora Ricciardi -, hanno comunque sempre attivato dei processi, aprendo dei percorsi che durano fino a oggi», così come ancora attuale e vivo «resta il suo insegnamento secondo cui “non si può amare a distanza”, perché c’è un dramma più grave del distanziamento sociale ed è quello umano». Da qui, l’auspicio del vescovo affinché, «in questo tempo di prova per l’umanità, sappiamo guardare ai grandi padri della Chiesa come don Di Liegro e alla loro testimonianza vissuta nella quotidianità». In particolare, Ricciardi ha pregato perché «soprattutto i più giovani capiscano l’importanza di vivere la vita donandosi», ispirandosi anche al nuovo giovane beato Carlo Acutis. «Abbiamo bisogno di giovani così – ha detto ancora il presule -: appassionati e capaci di vivere la carità concreta, facendo cose straordinarie nell’ordinario».

Motivati e appassionati erano i giovani studenti delle scuole di odontotecnica che prestavano servizio nel primo centro odontoiatrico della Caritas, fondato da don Luigi Di Liegro insieme all’odontoiatra Maurizio Falcucci nel 1983, nei locali della Casa dei Salesiani di via Marsala. «Arrivarono ad essere oltre 100 i volontari che, tra odontoiatri e odontotecnici – ricorda il medico -, riuscimmo a coinvolgere, facendo animazione alla carità tra i più giovani, e sono tanti quelli che ancora oggi operano nell’attuale sede di Ponte Casilino, preparando e fornendo gratuitamente protesi odontotecniche per i più poveri».

Ai giovani e alla loro formazione si dedica anche la fondazione intitolata a don Di Liegro, voluta dalla nipote Luigina Di Liegro. «Lavoriamo affinché rimanga viva la grande testimonianza spirituale di don Luigi – spiega -, aiutando i giovani a rendere reale quella società migliore in cui credono e che desiderano, certi che, con l’impegno, si può realizzare». In particolare, prosegue, «operiamo nel campo della malattia mentale e del disagio psichico, dedicandoci non solo ai malati ma anche alle famiglie, facendo rete e lavorando primariamente sulla prevenzione affinché le persone non abbiano bisogno di rivolgersi alla Caritas altrimenti, come sosteneva mio zio, vorrebbe dire che la società ha fallito, non riuscendo a integrare ogni persona».

13 ottobre 2020