Rosario Livatino, «senza paura, sotto la protezione di Dio»

A Fidene la Messa nei 30 anni dall’uccisione del “giudice ragazzino” con il vicegerente Palmieri. Il postulatore: causa di canonizzazione «a buon punto»

È passato alla storia come “il giudice ragazzino”. Rosario Livatino aveva solo 38 anni quando, il 21 settembre 1990, è stato ucciso in un agguato mafioso mentre percorreva in auto, come ogni giorno senza scorta, la strada statale Agrigento – Caltanissetta. «Nella sua vita e nel suo lavoro Rosario è andato avanti senza paura, sempre sotto la protezione di Dio». Così l’arcivescovo Gianpiero Palmieri, vicegerente della diocesi di Roma, lo ha ricordato ieri sera, 30 settembre, nel corso della celebrazione eucaristica promossa a 30 anni dalla sua uccisione, nella parrocchia Santa Felicita e Figli Martiri a Fidene. Un appuntamento proposto dal gruppo Nuovi Martiri, costituito dalle associazioni Archè e Finestra per il Medio Oriente, dalla parrocchia Sant’Innocenzo I Papa e San Guido Vescovo e dalla Comunità Missionaria di Villaregia.

Nato a Canicattì il 3 ottobre 1952, nel 1989 Livatino divenne giudice a latere presso il Tribunale di Agrigento dove si occupava principalmente di misure di prevenzione e si distingueva per la sua professionalità, discrezione e risolutezza. «Nel momento in cui ti giochi tutto, la vita non ti è tolta ma te la trovi tra le mani, piena, vera e autentica; chi invece non ha il coraggio di andare fino in fondo e vuole salvare la pelle, la perderà – ha detto Palmieri durante l’omelia, commentando il passo del Vangelo di Luca (capitolo 9) in cui Gesù, deciso a mettersi in cammino verso Gerusalemme, indica a tre uomini il prezzo del discepolato -. È proprio quello che ha vissuto Rosario, ovvero la percezione che in gioco non c’era soltanto salvarsi la pelle ma salvare la vita e la speranza, seguendo il Vangelo».

Infine, ricordandone l’eredità morale e professionale, il presule ha sottolineato come «nel sacrificio del magistrato ci siano i connotati del martirio, cioè di una morte vissuta in odio alla giustizia e alla fede». Dal 2011 è infatti in corso la causa di beatificazione, i cui atti sono ora all’esame della Congregazione delle Cause dei santi: «Terminate le due inchieste diocesane, l’iter è ora a buon punto – ha spiegato don Giuseppe Livatino, postulatore diocesano della causa di canonizzazione -. La decisione di avviare questo processo è legata al modo in cui Rosario condusse la sua vita, il cui asse portante fu la sua profonda fede cristiana». Riconosciuto servo di Dio, a lui si attribuisce anche l’intercessione per una guarigione miracolosa.

Una vita dunque vissuta all’insegna dei principi cristiani e di un impegno esemplare: portare il Vangelo dentro ciò che era chiamato a vivere quotidianamente. «Era un magistrato integerrimo con una grande capacità di ascolto e discernimento – racconta Franco Provenzano, giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, che collaborò con Livatino -.  Per noi rappresentava un punto di riferimento anche quando era lontano». Il suo profilo di grande esperienza e umanità emerge anche dal racconto del parroco di Santa Felicita, don Cristian Prestianni, che è stato in precedenza parroco a Canicattì e ha conosciuto la famiglia del giudice. «Appena arrivai nella nuova comunità, il padre di Livatino mi mandò a chiamare e mi disse: “Qui non abbiamo bisogno di martiri ma di testimoni che con la loro vita insegnino alle nuove generazioni” – ha raccontato il sacerdote -. Questa frase orientò fortemente il mio ministero a Canicattì». E ha concluso: «Credo che la figura di Rosario debba essere nuovamente recuperata: oggi c’è infatti bisogno di uomini e donne che interpretino nella loro vita il diritto così come lo ha vissuto lui».

1° ottobre 2020