“Samaritanus bonus”: eutanasia «crimine contro la vita umana»

Presentata la lettera della Congregazione per la dottrina della fede: ingiusti i provvedimenti che la legalizzano. Cure palliative, strumento «prezioso»

«Il valore inviolabile della vita è una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell’ordine giuridico. Così come non si può accettare che un altro uomo sia nostro schiavo, qualora anche ce lo chiedesse, parimenti non si può scegliere direttamente di attentare contro la vita di un essere umano, anche se questi lo richiede. Pertanto, sopprimere un malato che chiede l’eutanasia non significa affatto riconoscere la sua autonomia e valorizzarla, ma al contrario significa disconoscere il valore della sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore, e il valore della sua vita». La lettera “Samaritanus Bonus” (“Il Buon Samaritano”) sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita divulgata oggi, 22 settembre, dalla Congregazione per la dottrina della fede ribadisce e motiva un fermo no all’eutanasia, attiva e passiva, e ad ogni forma di suicidio assistito. Il documento è stato presentato dal prefetto della Congregazione, il cardinale Luis Ladaria Ferrer, dal segretario dello stesso dicastero, l’arcivescovo Giacomo Morandi, da Gabriella Gambino, sottosegretario del dicastero per i Laici, la famiglia e la vita, e da Adriano Pessina, membro del direttivo della Pontificia Accademia per la vita.

Un testo di 45 pagine che contiene indicazioni precise su eutanasia, accanimento terapeutico, cure di base come alimentazione e idratazione, terapie analgesiche, obiezione di coscienza, ruolo della famiglia, accompagnamento pastorale e formazione degli operatori sanitari e che nelle sue conclusioni rileva come «la miseria più grande consiste nella mancanza di speranza davanti alla morte. Questa è la speranza annunciata dalla testimonianza cristiana, la quale, per essere efficace, deve essere vissuta nella fede, coinvolgendo tutti, familiari, infermieri, medici, e la pastorale delle diocesi e dei centri ospedalieri cattolici, chiamati a vivere con fedeltà il dovere d’accompagnamento dei malati in tutte le fasi della malattia, e in particolare nelle fasi critiche e terminali della vita».

Il documento, come ha spiegato il cardinale Ladaria, non tocca solo aspetti dottrinali ma ha anche «un accento fortemente pastorale e con un linguaggio comprensibile, all’altezza del progresso delle scienze mediche». Per questo si fa ampio riferimento alla figura del Buon Samaritano e soprattutto a quella di Cristo sofferente, insistendo sulla necessità di “stare” accanto al malato. E, come ha sottolineato monsignor Morandi, «la risposta cristiana al mistero della morte e della sofferenza non è anzitutto una spiegazione, ma una Presenza, secondo la felice espressione di Cicely Saunders, citata nel paragrafo del Documento dedicato al ruolo della famiglia e degli hospice». Il porporato ha affermato che «un nuovo organico pronunciamento della Santa Sede sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita è parso opportuno e necessario in relazione alla situazione odierna, caratterizzata da un contesto legislativo civile internazionale sempre più permissivo a proposito dell’eutanasia, del suicidio assistito e delle disposizioni sul fine vita».

La lettera ricorda anche una serie di ostacoli che «oscurano il valore sacro di ogni vita umana»: un «uso equivoco del concetto di “morte degna” in rapporto con quello di “qualità della vita’» che nasconde una visione utilitaristica della vita; una «erronea comprensione della “compassione”» perché «la compassione umana non consiste nel provocare la morte, ma nell’accogliere il malato, nel sostenerlo dentro le difficoltà, nell’offrirgli affetto, attenzione e i mezzi per alleviare la sofferenza»; infine, un «individualismo crescente, che induce a vedere gli altri come limite e minaccia alla propria libertà», radice «della malattia più latente del nostro tempo: la solitudine». Il documento ribadisce con chiarezza che «l’eutanasia è un crimine contro la vita umana», nel solco dell’insegnamento costante del Magistero (numerosi i richiami alla “Evangelium vitae” di san Giovanni Paolo II), e bolla come «gravemente ingiuste le leggi che legalizzano l’eutanasia o quelle che giustificano il suicidio e l’aiuto allo stesso». Un richiamo particolarmente attuale per l’Italia dove si fanno sempre più insistenti le spinte per legiferare sul fine vita, anche attraverso sentenze della magistratura. Allo stesso tempo si condanna ancora una volta l’accanimento terapeutico, il «ritardare artificialmente la morte, senza che il paziente riceva in taluni casi un reale beneficio».

Un importante chiarimento riguarda alimentazione e idratazione artificiali, che vanno sempre assicurate fino a quando il paziente non è più in grado di assorbirle o metabolizzarle, caso in cui vanno sospese. Altro capitolo fondamentale è quello relativo alle cure palliative. Da una parte si ricorda come siano uno strumento «prezioso e irrinunciabile» nell’accompagnare non solo il malato terminale ma anche qualsiasi patologia cronica e/o degenerativa e che ne fa parte anche «l’assistenza spirituale al malato e ai suoi familiari». Dall’altra, viene sgombrato il campo da una «connotazione equivoca» che in alcune legislazioni lega le cure palliative all’eutanasia, facendo credere che in tal modo la morte volontaria sia moralmente lecita. In alcuni casi, gli interventi palliativi prevedono la somministrazione di farmaci intesi ad anticipare la morte. Pratiche, ovviamente, non lecite, che la professoressa Gambino ha definito “cripto-eutanasiche”.

La lettera si occupa anche dei casi di bambini in età prenatale e pediatrica, la cui vita è «sacra, unica, irripetibile e inviolabile, esattamente come quella di ogni persona adulta». In nessun caso, ribadisce la Congregazione, «vanno abbandonati sul piano assistenziale». E la memoria non può non andare ai casi di Charlie Gard e Alfie Evans che alcuni anni fa commossero il mondo. Quanto ai pazienti in “stato vegetativo”, il documento ricorda la loro dignità che va comunque rispettata e la necessità di accompagnare anche i familiari per l’indubbia sofferenza che tali situazioni comportano. Viene confermata la liceità della sedazione profonda, sempre, per quanto possibile, con il consenso informato del paziente. L’uso di analgesici è parte della cura a patto che non causi direttamente e intenzionalmente la morte. Infine, una situazione particolare riguarda l’accompagnamento pastorale di chi ha chiesto espressamente l’eutanasia o il suicidio assistito. La Congregazione ribadisce che in questi casi non è possibile accedere ai sacramenti se non c’è una chiara volontà di cambiare questa decisione oppure, in caso di incoscienza, si possono amministrare “sub condicione” «se si può presumere il pentimento a partire da qualche segno dato anteriormente» dal malato.

«Questa posizione della Chiesa – è spiegato nella lettera – non è segno di mancanza d’accoglienza. Essa deve essere, infatti, unita all’offerta di un aiuto e di un ascolto sempre possibili, sempre concessi, insieme ad una approfondita spiegazione del contenuto del sacramento, al fine di dare alla persona, fino all’ultimo momento, gli strumenti per poterlo scegliere e desiderare». Quindi «anche nel caso in cui una persona non si trovi nelle condizioni oggettive per ricevere i sacramenti, è necessaria una vicinanza che inviti sempre alla conversione». Tuttavia, «non è ammissibile da parte di coloro che assistono spiritualmente questi infermi alcun gesto esteriore che possa essere interpretato come un’approvazione dell’azione eutanasica, come ad esempio il rimanere presenti nell’istante della sua realizzazione».

Ma come porsi di fronte a chi, privo di speranza, non vede alternativa all’eutanasia? Quale può essere un punto di incontro? «In ogni uomo c’è un fondo di speranza – ha risposto il prefetto – La presenza, lo stare, la testimonianza della presenza può suscitare speranza anche in chi non crede. Se uno vede che qualcuno che non accetta questa sua soluzione, non la condivide ma gli sta comunque accanto e non lo abbandona può essere un elemento per farlo riflettere. La testimonianza dei cristiani, degli operatori sanitari, dei familiari può essere una cosa molto determinante».

22 settembre 2020