Caritas diocesana, la lettera di don Ambarus ai volontari

All’inizio del nuovo anno, il «grazie» del direttore «per quanto fate, dando concretezza al desiderio di trasformare il mondo, rendendolo più umano»

Inizia con un «sentito ringraziamento» la lettera indirizzata dal direttore della Caritas diocesana di Roma don Benoni Ambarus ai volontari, all’inizio del nuovo anno pastorale, online sul sito di Caritas Roma. Un grazie «per quanto fate, giorno dopo giorno, dando concretezza al desiderio di trasformazione del mondo, rendendolo più umano». Il volontario Caritas, riflette don Ambarus, è «colui che vede la realtà della società, si lascia ferire dalle vulnerabilità e povertà, e la affianca rimboccandosi le maniche convinto di poter fare la propria parte. Noi possiamo intervenire – osserva – perché per primi sappiamo cosa significhi non essere autosufficienti o ricevere un sostegno. Abbiamo fatto esperienza di essere dei “guaritori feriti”, per usare l’immagine di un grande saggio della vita spirituale».

Lo sguardo del direttore va, inevitabilmente, ai mesi passati, nei quali la pandemia ha costretto molti volontari a ridurre le possibilità di intervento diretto mentre per altri si sono moltiplicati tempo ed energie a disposizione, «subito messe a frutto». I volontari «della prima ora e dell’ultima ora», li definisce don Ben, e a tutti loro esprime «la nostra riconoscenza, soprattutto a nome dei più piccoli che insieme abbiamo servito e aiutato», in mesi che sono stati «di una intensità e fecondità straordinaria. Oltre all’aiuto materiale che abbiamo dato alle tante persone che hanno bussato ai presidi della Caritas diocesana e a quelli parrocchiali – prosegue infatti il sacerdote -, abbiamo messo in campo azioni e misure senza precedenti». Dal percorso di formazione sui diritti, con il conseguente Manuale Operativo dei diritti, all’istituzione da parte del Papa del Fondo Gesù Divino Lavoratore, con la conseguente Alleanza per Roma. E «molte altre iniziative, di cui spero di poter parlare insieme a voi al più presto, potremmo portare avanti».

mensa caritas durante il coronavirus

Riguardo alle prospettive di un ritorno alla normalità, «ridimensionate» dalle statistiche e dai numeri dei contagi di questi giorni, don Ambarus rivolge ai volontari un invito: «Il tempo sospeso, la normalità provvisoria che stiamo vivendo, proviamo a viverlo con un atteggiamento di opportunità. Lo dico – spiega – perché vorrei invitarvi a vivere insieme il passaggio dal probabile al possibile. Il periodo che ci sta davanti è certamente nelle mani di Dio, in quanto Signore della storia umana e del Regno, ma non è un periodo sospeso, di cristallizzazione, bensì di dinamicità e di nuove opportunità. Per questo, sono contento di potervi dire che nel prossimo periodo ci piacerebbe potervi incontrare, ascoltare e confrontarci su questo nostro tempo e sulla nostra azione di servizio».

Il direttore della Caritas romana non lo nasconde: «È probabile che il prossimo futuro sarà duro, soprattutto per quanto riguarda le fasce più deboli», scrive ai volontari. All’orizzonte intravede il possibile aumento delle disuguaglianze, delle povertà e delle marginalità «ma il nostro cuore dovrà cercare di rafforzare i ponti di solidarietà. La dimensione del servizio del volontario – prosegue – è duplice: azione e pensiero. Siamo cultori di azioni, diamo l’esempio e contributo concreto, ma allo stesso tempo non smettiamo di sognare come dovrebbe essere la nostra società, cosa bisognerebbe mettere in atto per cambiare le cose. Curiamo le ferite sociali – è l’esortazione – ma nello stesso tempo portiamo avanti prevenzione sociale; potiamo le disuguaglianze ma nello stesso tempo non rinunciamo a trovarne le radici ed eliminare le cause».

Nel periodo più recente, conclude don Ambarus, «ci siamo ulteriormente resi conto che la nostra seconda ricchezza nel servire gli ultimi di questa città, siete voi. Immediatamente prima vengono i poveri, perché sono loro che ci richiamano ad un indubbio realismo, alla comprensione autentica della vita e di ciò che veramente in essa conta. Sono il volto concreto del Signore. Sono i poveri – osserva – che ci possono aiutare a trovare la bussola giusta delle nostre azioni, dei nostri pensieri, delle politiche attraverso le quali costruire la nostra società». Di qui l’esortazione a «serrare insieme i ranghi, quell’alleanza tra noi che, come un solo Popolo, favorisce un’azione di trasformazione del mondo sempre più in Regno di Dio».

4 settembre 2020