Il cammino degli armeni, «dal genocidio alla speranza»

L’incontro al Maggiore con la saggista Antonia Arslan, a 100 anni dallo sterminio iniziato il 24 aprile 1915. I giusti? «Coloro che non guardano altrove»

L’incontro al Seminario Maggiore con la saggista Antonia Arslan, a 100 anni dallo sterminio iniziato il 24 aprile 1915. I giusti? «Coloro che non guardano altrove»

«Dentro di noi c’è il massimo del bene e il massimo del male. Non è detto che per seguire pulsioni al genocidio bisogna essere crudeli, si può essere anche solo avidi. Se è l’autorità dello Stato che ti dice che il tuo vicino è un essere inferiore, a un certo punto inizi a guardare la sua casa e sua moglie, che sono più belle delle tue, e te ne appropri. Ideato a tavolino da un gruppo di persone il genocidio diventa poi responsabilità di tutti per via dell’avidità». Lo ha affermato con forza ieri sera, lunedì 13 aprile, Antonia Arslan, docente di letteratura italiana all’Università di Padova, di origine armena, saggista ed esperta dello sterminio del popolo armeno, nel corso dell’incontro “Gli armeni dal genocidio alla speranza”. L’evento, organizzato dall’Ufficio catechistico della diocesi, si è tenuto al Seminario Maggiore.

La saggista padovana, il cui libro più famoso è La Masseria delle allodole (alla 30esima ristampa, oggetto dell’omonimo film dei fratelli Taviani), ha tenuto la sua relazione in occasione nel 100esimo anniversario del genocidio armeno. Il Metz Yeghérn, il Grande Male, come lo definiscono gli armeni, «inizia il 24 aprile 1915, quando i Giovani Turchi rapiscono e deportano l’élite politica ed intellettuale armena per eliminarla. Il viaggio – ha spiegato Arslan – è la dimensione dello sterminio degli armeni: il viaggio è il genocidio, un viaggio verso il nulla. Su due milioni circa di armeni ne sono stati uccisi circa i tre quarti, un milione e mezzo. Altrettanto avvenne con la minoranza siriaca (assira)».

Una specificità del primo genocidio della storia del XX secolo, «come lo ha giustamente e coraggiosamente definito Papa Francesco – ha spiegato la scrittrice – è il destino diverso degli uomini e delle donne: i primi sono destinati a un’uccisione di massa (dove non venivano neanche sprecate pallottole, gli uomini erano gettati in fosse comune vivi, uccisi in modo orribile). Le donne invece sono avviate a un diverso destino, rapite dalle carovane di disperati che camminavano venivano inserite nelle famiglie turche, sposate a forza o come serve, erano obbligate a dimenticare la propria famiglia, la propria lingua e cultura e convertite a forza. Per la cultura ottomana la donna è inferiore e non ha un’anima e, non avendola, si può usare e piegare a proprio piacimento».

Oggi, nella moderna Turchia le minoranze etniche sono circa il 3% della popolazione, «contro – ha ricordato il direttore dell’Ufficio catechistico don Andrea Lonardo – il 27% degli inizi del secolo scorso. Diventa quindi importante capire la dimensione del male, il mistero dell’iniquità e dell’odio. In mezzo al quale sono fioriti dei giusti che hanno soccorso e aiutato il popolo armeno». Per Arslan i giusti sono coloro che «non guardano altrove e capiscono che quello che vedono è orrendo». Sono ufficiali tedeschi (uno di loro fornirà materiale preziosissimo per le prove dell’avvenuto genocidio fotografando i campi profughi armeni lungo la marcia dello sterminio), ebrei, missionari ma anche contadini turchi, che danno sepoltura ai morti sulle strade o accoglieranno in casa bambini rimasti orfani. È grazie a loro che gli armeni sono ancora un popolo, di cui solo una piccola parte vive nell’attuale Armenia, una porzione molto ristretta di Stato rispetto al cuore della cultura e della fede cristiana anatolica, ora su territorio turco.

Ha ancora senso parlare dello sterminio degli armeni, perché «passo dopo passo – ha spiegato la scrittrice – tutti possono arrivare a commettere un genocidio e poi, come è accaduto in Turchia, a dimenticarlo per colpa del negazionismo. Il tempo ha fatto dimenticare orrori presenti nella storia di tutti i turchi. Nel 2011 è scoppiato un caso letterario: la scrittrice Çetin Fethiye ha scritto il libro “Heranush, mia nonna”. Sembrava un titolo come gli altri, è passato indenne alla censura del governo. È stata una bomba ad orologeria. Sua nonna, che tutti credevano turca, a 80 anni ha rivelato alla nipote di essere armena, rapita e convertita a forza». In tutta la Turchia, in cui da recenti studi è emerso che circa un terzo della popolazione è di sangue misto armeno, molte persone hanno cercato le loro origini, scoprendo nonne di questa etnia in tutta l’Anatolia.

14 aprile 2015