Istat, impatto Covid sulla natalità: 10mila bimbi in meno

Pubblicato il Rapporto annuale. Nel periodo post pandemia possibile ulteriore accelerazione della denatalità. 853mila famiglie in difficoltà con le scuole chiuse

Impatto Covid sulla natalità in Italia. Stando ai dati del Rapporto annuale Istat, pubblicato oggi, 3 luglio, è possibile una «rapida caduta» nel periodo post pandemia. «Recenti simulazioni, che tengono conto del clima di incertezza e paura associato alla pandemia in atto – si legge nel testo -, mettono in luce un suo primo effetto nell’immediato futuro; un calo che dovrebbe mantenersi nell’ordine di poco meno di 10mila nati, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021». Tenendo conto anche dello shock sull’occupazione. I nati scenderebbero di 30mila nel bilancio finale dell’anno in corso, fino a 426mila, per poi ridursi a 396 mila, nel caso più sfavorevole, in quello del 2021.

Nonostante la fecondità reale in costante calo dal 2010 – che riporta l’Italia ai livelli di 15 anni fa – gli italiani desiderano una famiglia con 2 figli, «evidenziando un significativo scarto tra quanto si desidera e quanto si riesce a realizzare». Nella fascia d’età tra i 18 e i 49 anni, «sono solo 500mila gli individui che affermano che fare figli non rientra nel proprio progetto di vita: una componente tutto sommato marginale e che include, nella metà dei casi, persone che hanno superato i 40 anni e che prendono atto delle difficoltà di avere figli in età avanzata». Altri 2 milioni 200mila (più della metà ha superato i 40 anni) non ha figli e non intende averne «per ragioni di età o perché non ha un partner, o per problemi di salute. Per circa la metà delle persone che non hanno figli e non intendono averne – si legge nel testo – le motivazioni addotte evidenziano più che una scelta una sorta di rassegnazione a fronte di oggettive difficoltà». 46 su 100 gli italiani che desiderano avere due figli; percentuale che scende al 21,9% per quanti desiderano tre o più figli mentre solo il 5,5% ne desidera uno solo. «Le aspettative sulla capacità riproduttiva si abbassano a partire dai 40 anni, quando diventa più alta, seppure non maggioritaria, la quota di coloro che ne vogliono solamente uno (20,8 per cento tra 40 e 44 anni)», spiegano i ricercatori. Alto è anche il numero degli indecisi: il 25,4% esprime un desiderio di maternità o paternità senza però saper indicare il numero di figli desiderato.

853mila le famiglie in difficoltà con la chiusura delle scuole. A essere più penalizzate, il 38% delle madri, costrette a modificare gli orari del proprio impiego. E anche la didattica a distanza può produrre un aumento delle disuguaglianze. «Nel biennio 2018-2019 – è evidenziato nell’indagine – il 12,3% dei minori di 6-17 anni (pari a 850mila) non ha un pc né un tablet ma la quota sale al 19% nel Mezzogiorno (7,5% nel Nord e 10,9% nel Centro)». Uno svantaggio che aumenta se combinato con lo status socio-economico, dato che «non possiede pc o tablet oltre un terzo dei ragazzi che vivono nel Mezzogiorno in famiglie con basso livello di istruzione». Nell’analisi dell’Istat, «il 45,4% degli studenti di 6-17 anni (pari a 3 milioni 100mila) ha difficoltà nella didattica a distanza per la carenza di strumenti informatici in famiglia, che risultano assenti o da condividere con altri fratelli o comunque in numero inferiore al necessario». Svantaggi aggiuntivi per i bambini possono derivare dalle condizioni abitative, dato che il sovraffollamento abitativo in Italia è più alto che nel resto d’Europa (27,8% contro 15,5%), soprattutto per i ragazzi di 12-17 anni (47,5% contro 25,1%).

«Si stima che lo shock organizzativo da Covid-19 possa aver interessato almeno 853mila nuclei familiari con figli sotto i 15 anni (583mila coppie e 270 mila monogenitori). Si tratta di casi in cui l’unico genitore, o entrambi, svolgono professioni che richiedono la presenza sul luogo di lavoro e sono quindi a elevato disagio da conciliazione se non c’è l’aiuto dei nonni. Tra questi nuclei, sono 581mila quelli con genitori occupati in settori rimasti attivi anche nella fase del lockdown». Una difficoltà, quella della conciliazione tra tempi di vita e tempi di lavoro, che pesa soprattutto sulle donne: «Il 38,3% delle madri occupate (42,6% se con figli da 0 a 5 anni) modifica orario o altri aspetti del lavoro per adattarli agli equilibri familiari mentre i padri lo fanno in misura molto minore (rispettivamente 11,9% e 12,6%)».

3 luglio 2020