Un grido di allarme dal mondo del commercio

L’inchiesta. Associazioni ed esercenti: vendite ferme, un quarto non ha riaperto. Cisl: questi mesi di fermo non saranno mai recuperati

Il commercio, nella fase 2, stenta a decollare. Dopo settimane di serrande abbassate la ripartenza è molto difficile e «per niente entusiasmante», secondo il presidente di Confesercenti Roma e Lazio, Valter Giammaria. Da un sondaggio di Confcommercio Roma i negozianti della Capitale subiscono sulla propria pelle le conseguenze della pandemia e su 500 commercianti intervistati il 26,1% non ha riaperto la propria attività il 18 maggio, il 42,8% non ha rilasciato scontrini in queste due settimane di riapertura e il 45,2% giudica insufficiente l’andamento delle vendite. «Hanno rialzato le serrande i tre quarti degli esercizi commerciali – specifica il direttore generale Pietro Farina –. L’85% nel settore moda, il 60–65% dei bar e ristoranti. Ma il dato è in costante aumento quindi dipende dalla necessità di organizzarsi con le norme di sicurezza e prevenzione».

Per Mina Giannandrea, presidente Federstrade Roma, da 43 anni titolare di un negozio di abbigliamento in viale Marconi, «l’attuale stato d’animo dei commercianti è sotto zero». Ha dovuto mettere due dipendenti in cassa integrazione, che «non è ancora arrivata». Il turismo è fermo, la gente è tornata in strada ma con poche buste per le vie dello shopping. La paura del coronavirus serpeggia forte tra i clienti che «entrano in negozio timorosi e guardano i capi da lontano. È giustissimo tutelarsi – prosegue Giannandrea –, ma le spese ci attanagliano, le tasse e gli affitti sono cari. Il Governo ci sta spossando. Bisogna sbloccare i fondi, abbassare le tasse e dare contributi a famiglie e commercianti. Non so quanti negozi sopravviveranno».

Tra quelli che non hanno sopportato il lockdown c’è la torrefazione in viale della Serenissima che sabato scorso, dopo 60 anni, ha cessato la sua attività. «Eravamo già in difficoltà – spiega Paola, la moglie del titolare -. Questi due mesi e mezzo di chiusura sono stati il colpo finale. Se ne va un pezzo di vita di quartiere, di relazioni e di affetti». A tal proposito Giammaria osserva che molti negozi in affanno prima della pandemia hanno ricevuto «il colpo di grazia. Tanti i cartelli “cedesi attività” affissi alle vetrine». Confesercenti propone una defiscalizzazione «sostanziosa, un anno bianco della fiscalità con la sospensione e l’abbassamento delle tasse».

Gli fa eco il direttore Farina che mette in cima alle priorità l’erogazione di contributi a fondo perduto e «interventi immediati, effettivi e mirati a chi dimostra un calo del fatturato». I negozianti rimasti chiusi in quarantena hanno subito da un lato il mancato fatturato ma dall’altro hanno dovuto comunque pagare gli affitti e le utenze. Confesercenti e Confcommercio forniscono il quadro della situazione. Rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, i settori di abbigliamento, calzature e intimo hanno incassato il 5%. I bar il 25–30% mentre per la ristorazione «il contesto è molto negativo», dice Giammaria. Tra i commercianti c’è «fiducia nel futuro – prosegue Farina –, oltre il 10% si dice ottimista ma i dati non sono positivi. A oggi il 40% registra vendite vicine allo zero, un altro 40% insufficienti, solo il 20% ha incassi soddisfacenti».

Questi mesi di fermo non verranno «mai recuperati – aggiunge Carlo Costantini, segretario generale Cisl Roma Capitale Rieti –. A fine anno le entrate saranno relative a 9 mesi di lavoro ma le uscite a 12 mesi». Giammaria attribuisce una grossa fetta di responsabilità anche alle vendite online. «Amazon in questo periodo ha fatto affari d’oro e non paga le tasse in Italia – rimarca -. Noi vogliamo che se vende merce in Italia paghi le tasse nel nostro Paese». Sulle vendite online interviene anche Costantini, il quale dissente da chi pensa che la grande distribuzione in questi mesi abbia guadagnato di più ed evidenzia che la preoccupazione del sindacato è rivolta a chi in quarantena ha scoperto gli acquisti online dei beni di prima necessità.

«Nell’immaginario collettivo i supermercati sono stati gli unici a guadagnare durante il lockdown ma in realtà non è così – precisa Costantini –. Chi mensilmente destina una determinata somma ai beni di prima necessità ha speso la stessa cifra. La grande distribuzione potrebbe risentirne nei prossimi mesi perché oggi in Italia ci sono 10 milioni di persone in cassa integrazione o che usufruiscono di altri ammortizzatori sociali e il 70% non ha ancora percepito nulla. Il governo ha fatto molto ma adesso siamo agli annunci e dei soldi stanziati si è visto il 20%. Inoltre, chi ha scoperto l’e-commerce probabilmente continuerà ad usufruire di questa modalità di acquisti che va a discapito dell’occupazione, perché il lavoro di tanti viene sostituito da una sola persona che prende ordinazioni online».

3 giugno 2020