La pandemia aumenta le fragilità in Yemen, Siria, Iraq e Giordania

Simone Garroni (Azione contro la fame): «Corsa contro il tempo in Medio Oriente per implementare i programmi umanitari in coro con inizaitive anti Covid»

Da Azione contro la fame arriva una nuova denuncia delle conseguenze del coronavirus e degli effetti indesiderati del lockdown sui sistemi sanitari e sociali già fragili di molte aree del Medioriente, già messe a dura prova da violenze e instabilità politica. «È una corsa contro il tempo per implementare programmi umanitari in corso con iniziative anti Covid», dichiara il direttore dell’organizzazione umanitaria, Simone Garroni, disegnando uno scenario drammatico, che vede alimentate le fragilità dei Paesi della regione.

Attualmente la Giordania ospita circa 1,3 milioni di rifugiati siriani, la maggior parte dei quali dipende dagli aiuti umanitari. Oltre 4,1 milioni di persone, inoltre, necessitano di assistenza immediata in Iraq. Gravissima la situazione anche in Yemen, dove i prezzi dei prodotti di base sono aumentati dell’83% e più della metà della popolazione ha perso la propria attività economica a causa del conflitto. In Siria ci sono 11 milioni di persone che necessitano di aiuti umanitari. Il sistema sanitario è disastrato con  sette operatori sanitari su dieci che dal 2011 hanno lasciato il Paese. Solo 59 su 111 ospedali continuano a operare e meno di 500 sono le unità di terapia intensiva dotate di ventilatori. Ancora, in Giordania Azione contro la Fame lavora per sostenere le persone più vulnerabili attraverso programmi in tema di sicurezza alimentare, acqua, servizi igienico-sanitari e sostegno psicologico, così da fronteggiare i rischi legati alla pandemia. La crisi umanitaria in Iraq resta una delle più gravi del Medio Oriente. A seguito della chiusura degli aeroporti e della formulazione di divieti di spostamento all’interno del Paese, la maggior parte dei programmi umanitari è stata sospesa.

Il risultato: le popolazioni, estremamente indebolite dai conflitti e dagli sfollamenti forzati, sono le prime vittime degli effetti indiretti della lotta alla pandemia. «Prima dell’attuale crisi sanitaria – dichiara Garroni – lavoravamo, all’interno e all’esterno dei campi, per soddisfare le esigenze delle popolazioni ospitanti, sfollate e rifugiate. Oggi, le organizzazioni umanitarie possono solo effettuare interventi relativi al contenimento del virus; altri progetti sono stati, temporaneamente, sospesi. Tuttavia – prosegue -, i nostri team forniscono un servizio di assistenza telefonica giornaliero per mantenere un legame con le comunità e fornire un sostegno psico-sociale a distanza, anche per far fronte a numerosi casi di violenza domestica».

Per gli iracheni, restano gravi le difficoltà ad avere accesso a gel igienizzanti e prodotti per l’igiene. Così i team di Azione contro la Fame presenti a Mosul distribuiscono anche kit di igiene con sapone e prodotti disinfettanti in zone caratterizzate da strutture sanitarie fragili. «Nonostante la lenta diffusione del virus, la mobilitazione delle autorità irachene e l’impegno delle organizzazioni umanitarie – conclude Garroni -, è probabile che il Paese debba affrontare una crisi sanitaria senza precedenti: negli ospedali mancano, del resto, le attrezzature e i prodotti medici per soddisfare le crescenti esigenze. Inoltre, la percezione del virus come una malattia di cui vergognarsi spinge alcune persone a non curarsi e molte famiglie a rifiutare la quarantena. In questo contesto – aggiunge -, la distribuzione dei nostri kit e il servizio di assistenza telefonica diventano cruciali per evitare la diffusione del virus e ‘stressare’ il meno possibile le strutture ospedaliere. Ad oggi, i nostri dipendenti di Mosul, Dohuk e Sinuni hanno contattato più di 2mila persone in tutto il Paese e hanno distribuito prodotti per l’igiene a migliaia di famiglie».

19 maggio 2020