Appesi a un filo, un tempo difficile e la sua lezione

Nella Roma di oggi, bella e fragile, anche la dolorosa rinuncia alla frequenza della Messa dovrebbe indurci a privilegiare la sua dimensione spirituale

Centocelle vuota come non l’abbiamo mai vista. Colosseo deserto. Laghetto dell’Eur abbandonato. La Roma di questi giorni, triste e assolata, assomiglia a Los Angeles nelle prime inquadrature di “1975 occhi bianchi sul Pianeta Terra”, un classico fantascientifico di quarantacinque anni fa, in cui si vede Charlton Heston, occhiali scuri e mitra sul cruscotto, alla guida della sua decappottabile, unico sopravvissuto alla pandemia planetaria, costretto a barricarsi di notte in casa per difendersi dagli zombi. Con una differenza capitale: la situazione surreale che purtroppo stiamo vivendo noi adesso non è un film!

Coronavirus, Roma deserta, piazza San GiovanniEppure la solitudine in cui siamo potrebbe impartirci alcune nozioni essenziali, non molto diverse da quelle che gli antichi maestri elaborarono a uso delle generazioni venture, troppo spesso inclini a dimenticarle: non andare mai troppo lontano se non sai dove sei diretto; considera ciò che hai, prima di agognare quello che ti manca. In particolare il bene della salute dovresti apprezzarlo quando ne godi, sapendo che può venirti meno da un momento all’altro. Il procedere cieco e incontrollato dei contagi in tutto il mondo ci dovrebbe far comprendere il rovescio della medaglia insito nella globalizzazione. Se basta un virus a far vacillare le certezze tracotanti di coloro i quali, illudendosi, credevano di poter contare solo su se stessi, arrivando al punto di sottrarre risorse alla maggioranza, significa che tutti noi siamo davvero ingenui.

Coronavirus, San Pietro deserta, 15 marzo 2020D’improvviso ci si rende conto di essere appesi a un filo: ad esempio, nei primi giorni dell’epidemia qualcuno, considerando i più anziani a rischio, consigliò loro di restare a casa a badare ai nipotini. Tuttavia, questi ultimi, finché sono andati a scuola, hanno esposto i nonni alla malattia. Molte delle cose che di norma abbiamo sempre fatto senza nemmeno pensarci, prendere la metropolitana, andare al cinema, frequentare un centro commerciale, assistere a una conferenza, adesso diventano quasi proibitive. Di altre, parlare a distanza ravvicinata, scambiare quattro chiacchiere al bar, visitare gli amici, cominciamo ad apprezzare la sostanza che prima tendevamo a sottovalutare.

La stessa struttura ospedaliera, chiamata a sostenere una prova forse unica nella storia nazionale, è diventata la rappresentazione più sorprendente di quanto stiamo dicendo: se i ricoveri massicci rischiano di intasarla, privando i malati del supporto necessario, vuol dire che il servizio sanitario aperto a tutti non va considerato come un dogma assoluto bensì alla maniera di un bene comune da difendere giorno per giorno. Essere sulla medesima barca, un’emozione richiamata da molti osservatori, ci porta diritti verso il discorso religioso.

Coronavirus, cartello chiesa avviso di messe sospesePer un cattolico non poter andare a Messa a fare la comunione potrebbe produrre una riflessione originale, legata alla matrice stessa del cristianesimo. Nella Chiesa delle origini, che si sviluppò nella capitale dell’impero più di duemila anni fa, le consuetudini celebrative del mistero eucaristico si configuravano all’interno della cosiddetta “disciplina dell’arcano”, una prassi tesa a conservare il segreto sui riti e sugli insegnamenti più sacri, per accertarsi che i catecumeni e i pagani non li trattassero in modo superficiale e irriverente. Paradossalmente nella Roma di oggi, così bella e così fragile, la dolorosa rinuncia alla frequenza della Messa, proprio perché sappiamo quanto sia irrinunciabile l’elemento comunitario della preghiera, dovrebbe indurci a privilegiare la sua dimensione spirituale, talvolta posta in second’ordine. Insomma le potenziali psicosi legate alla diffusione del coronavirus, invece di tenerci bloccati frenando il nostro slancio partecipativo, potrebbero essere superate dalla consapevolezza di coralità che, volenti o nolenti, stiamo vivendo.

16 marzo 2020