La Chiesa e la malattia, profilo di una carità universale

Luminose testimonianze accanto agli ammalati hanno caratterizzato nella storia l’esperienza di generazioni di cristiani. L’esempio dei santi e di martiri dell’amore

In un tempo inedito, quale è quello che stiamo vivendo in queste settimane, può essere utile interrogarsi su come alcuni cristiani hanno vissuto in epoche caratterizzate da grandi pandemie, a partire da Roma, che presiede ad una carità chiamata ad allargarsi a tutto il mondo, in una specie di benefico contro-contagio.

Roma dopo il 1527, anno del saccheggio da parte dei lanzichenecchi, visse una grande pestilenza. Spesso le gravi malattie contagiose si sono diffuse in periodi di sofferenza e penurie, di guerra o carestia. Lo stesso accadde nel Nord Italia nel 1630: nei due anni precedenti si registrò una terribile carestia e le città vennero prese d’assalto da povera gente che cercava condizioni di vita migliori rispetto alle campagne che erano diventate un luogo di fame e indigenza profonda. Anche in quel caso la peste arrivò: per evitare il contagio le autorità imposero l’isolamento dei paesi dove si registravano i primi casi di malattia, chiudendo tutte le strade.

Quella del 1630 è la peste che descrive Manzoni nei Promessi Sposi. Nel racconto emergono modalità rilevanti di come vivere da cristiani di fronte all’epidemia. Manzoni narra del cardinale Federico Borromeo, della sua «carità ardente e versatile» pronta a distribuire ogni mattina «2000 scodelle di minestra di riso» e che spediva «ai luoghi più bisognosi della diocesi» soccorsi, viveri, risorse per sostenere i più poveri. Un esempio di carità cristiana che fece dell’amore per l’uomo più fragile il cardine della vita.

Altri episodi di pestilenza si registrarono in Francia nel 1720; nel 1743 ci fu l’ultima in Italia. Alla fine del XIX secolo (nel 1889) il morbo si presentò in Russia, con particolare virulenza a Mosca. Nel XX secolo si assisterà anche a una serie di nuove pandemie. Tra queste la “spagnola” che scoppiò durante la prima guerra mondiale e causò forse 100 milioni di morti in tutto il mondo; alla fine degli anni Cinquanta ci fu l’influenza asiatica che negli anni 1957-60 provocò circa due milioni di morti; dieci anni dopo fece la sua apparizione “la spaziale”, un’influenza nata ad Hong Kong ma messa in relazione con la conquista della luna del 1969. Ma gli ultimi decenni non ci hanno certo risparmiato l’insorgere o il mantenersi di patologie diffuse e drammaticamente serie. Si pensi alla malaria che resiste in tante zone del mondo, o la tubercolosi, l’Aids, il virus Ebola.

Pagine di carità di fronte ai malati hanno accompagnato l’esperienza di generazioni di cristiani, fino a poter dire che la storia della Chiesa è soprattutto una vicenda di servizio al prossimo, ai più bisognosi e discriminati. Il monachesimo nasce anche dall’esigenza di trasformare la propria vita in servizio del prossimo, oltre che a Dio. E attorno ai monasteri nascono grandi ricoveri per accogliere chi è malato. Sono tante le figure di cristiani con questo profondo ancoraggio evangelico: Francesco d’Assisi, Ignazio di Loyola, Giovanni di Dio, Camillo de Lellis, Vincenzo De Paolis, fino a Giuseppe Cottolengo, Giovanni Bosco, Luigi Orione e Teresa di Calcutta. Un gran numero di fondatori di famiglie religiose dell’epoca moderna hanno guardato ai poveri, ai sofferenti e agli ammalati con speciale riguardo, trovandovi una delle radici essenziali della propria vocazione. Gaetano di Thiene visse l’esperienza romana della peste successiva al 1527 e con i suoi compagni compì miracoli di carità; poi contribuì a ricostruire la città aiutando i meno abbienti, edificando ospedali, ricoveri per i poveri per i malati. E uno dei più giovani seguaci di Ignazio di Loyola, Luigi Gonzaga, morì a soli 23 anni assistendo i malati di peste a Roma nel 1591.

Sono innumerevoli le vite cambiate da questa attitudine a farsi fratello del più diseredato, malato, escluso. Molte realtà della Chiesa sono nate come risposte tempestive a situazioni gravi di necessità umane alle quali non si trovavano risposte nella società. È l’affermazione del Regno di Dio che si rende presente attraverso l’esercizio della sua misericordia. Questo ha spinto uomini e donne a perdere anche la propria vita per accudire persone a volte fortemente infettive. Sono i martiri dell’amore, anche nei Paesi di missione, come Marion Bresillac, che con i suoi primi compagni missionari arrivò in Sierra Leone e cadde appena arrivato assieme ai suoi, vittima della febbre gialla; o Daniele Comboni, morto di malaria a 50 anni in Sudan; o, più recentemente, il medico e missionario comboniano Giuseppe Ambrosoli, morto in Uganda durante la seconda guerra civile. Dovendo evacuare il suo ospedale di Kalongo, guidò in salvo tutti i suoi malati fino alla città di Lira, camminando per oltre due giorni, alla fine dei quali, già gravemente ammalato, morì.

L’interrogativo della carità oggi si propone nuovamente alla nostra generazione; e chiama ad essere esemplari nella testimonianza evangelica, pur nelle strettezze delle necessarie disposizioni. Una stagione nuova – nella quale c’è chi rischia di non aver di che mangiare, di che coprirsi, di che curarsi – merita nuove e creative risposte che, come in altre epoche, sapranno farsi strada nel cuore dei cristiani.

16 marzo 2020