Cauda (Gemelli): del coronavirus «sappiamo molto ma non ancora tutto»

Il direttore dell’Unità di malattie infettive del Gemelli fa il punto, a partire dalla situazione dei contagi. «Seguire il mantra del momento: restare a casa»

I dati diffusi ieri sera, 11 marzo, dalla Protezione Civile parlano a livello nazionale di 10.590 malati di coronavirus, di cui 1.028 ricoverati in terapia intensiva e più di 3.700 in sorveglianza sanitaria domestica. Sono 150 in totale le persone contagiate nel Lazio con un aumento di casi di 23 persone solo a Roma ieri. Per Roberto Cauda, ordinario di Malattie infettive all’Università Cattolica e direttore dell’Unità di malattie infettive del Policlinico Gemelli di Roma, non sarà possibile vedere in pochi giorni «risultati concreti nei numeri» ma sicuramente sul lungo periodo, tra non meno di due settimane, «ci aspettiamo ragionevolmente che venga raggiunto quello che è il primo obiettivo: l’avvio della diminuzione progressiva dei contagi di coronavirus».

Il progressivo inasprimento delle misure preventive, «con la chiusura sempre più stretta delle maglie e la condizione di lockdown che ora interessa tutta l’Italia fino almeno al 25 marzo – dice l’esperto commentando anche il nuovo decreto firmato ieri in tarda serata dal premier Conte -, è una condizione necessaria a fronte all’aumento esponenziale del numero dei contagi», tale per cui l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato ieri la pandemia. «A questo termine va attribuito un valore più psicologico che epidemiologico – chiosa il medico -: si tratta della presa di coscienza dell’oggettiva presenza di una epidemia, sulla base dei numeri, anche da parte di quegli Stati più riottosi o che ancora tendono a sottovalutare il problema». Non solo. Per Cauda comporta anche «il riconoscere come questa malattia nuova, a trasmissione inter-umana, renda evidente il processo di globalizzazione: il coronavirus si è diffuso dal focolaio cinese nel mondo in poche settimane mentre negli anni ’50 la cosiddetta influenza asiatica ci mise un anno e mezzo per raggiungere l’Europa».

coronavirus contagio 2019-nCoV, COVID19, Sars-CoV-2A ciascuno viene chiesto «un maggiore senso di responsabilità – continua il medico – e un cambiamento di abitudini che, va sottolineato, è transitorio e finalizzato a ridurre i contatti sociali solo fino a quando la curva dei contagiati da esponenziale sarà diventata lineare, fino a portare poi all’esaurimento inevitabile della malattia, che verrà raggiunto quanto più verrà seguito da tutti il mantra di questo momento: restare a casa». Il medico fa poi il punto sulla situazione attuale rispetto alle conoscenze scientifiche sul nuovo virus, sottolineando come «sappiamo molto ma non sappiamo ancora tutto». Tra le certezze, «il suo appartenere alla famiglia della Sars solo per l’80%, il che fa sì che il coronavirus presenti una minore letalità rispetto alla sindrome respiratoria acuta grave ma, di contro, una maggiore diffusibilità – spiega l’esperto -, che equivale a essere subdolo, tanto che c’è una quota parte di soggetti, difficile da quantizzare, asintomatici». Ancora, «abbiamo imparato che farmaci già in suo come quelli a base di clorochina, utilizzati per la cura della malaria, dell’ebola o dell’hiv, sono efficaci» e che «i sintomi del contagio sono la febbre sopra i 37,5 gradi e una tosse secca molto fastidiosa e continua, talvolta anche la congiuntivite».

Per Cauda, «sarà interessante, una volta terminati i contagi, per così dire “a bocce ferme”, poter testare gli anticorpi e comprendere quante persone saranno state effettivamente interessate dal coronavirus, anche senza saperlo», tenendo conto che «se all’inizio il virus ha trovato una popolazione completamente vergine e quindi che si è ammalata di più, poi lo stesso virus, circolando, ha portato e sta portando molti ad acquisire una immunità rispetto alla malattia, quindi è ipotizzabile che si noterà un numero ben più alto di quello calcolato sui ricoveri e le persone effettivamente curate per coronavirus».

In conclusione, lo specialista constata come «la gente stia reagendo in maniera tutto sommato responsabile e positiva a questa emergenza» e quanto «talvolta l’eccessiva informazione sul coronavirus possa alimentare in maniera inadeguata una preoccupazione oltre la soglia del legittimo». Infine, un appunto per i bambini e le parole da usare per motivare la necessità di rinunciare alla scuola e ai momenti aggregativi di gioco. «Si tratta di una vera e propria lezione di quella educazione civica recentemente reintrodotta nei programmi scolastici – dice l’esperto – e deve lanciare il messaggio della responsabilità che i bambini, così desiderosi di sentirsi trattare “da grandi”, possono ben comprendere: anche dal loro comportamento dipende la salute di tante altre persone».

12 marzo 2020