Il Papa ai sacerdoti: vincere il «sottile nemico» dell’amarezza

La liturgia penitenziale per il clero romano: Francesco assente per una lieve indisposizione, il discorso letto dal cardinale De Donatis

«Il popolo di Dio attende da noi maestri di spirito capaci di indicare i pozzi di acqua dolce in mezzo al deserto», quindi è necessario «lasciarsi trasformare» per vincere un «sottile nemico», l’amarezza che caratterizza a volte la vita del prete. È l’esortazione che il Papa ha rivolto ai sacerdoti della sua diocesi in occasione della liturgia penitenziale per il clero romano celebrata giovedì mattina nella basilica di San Giovanni in Laterano. Questa volta le parole di Francesco non sono state rivolte di persona, come ogni anno, ma, a causa di una lieve indisposizione che lo ha colpito, sono arrivate ai sacerdoti attraverso il suo discorso letto dal cardinale vicario Angelo De Donatis dopo le confessioni (lo stesso cardinale ha amministrato il sacramento della riconciliazione ad alcuni presbiteri).

Al centro della riflessione del Santo Padre, l’amarezza dei sacerdoti focalizzata intorno al rapporto con la fede, il vescovo, i confratelli. Con una premessa: «La maggior parte dei preti che conosco sono contenti della loro vita e considerano queste amarezze come facenti parte del normale vivere». Nel discorso letto da De Donatis e «frutto dell’ascolto di alcuni seminaristi e preti di diverse diocesi italiane», precisa Francesco, non è mancato l’accenno agli scandali finanziari e sessuali che hanno segnato la Chiesa, i cui contraccolpi hanno toccato la vita sacerdotale. «Il sospetto ha drasticamente reso i rapporti più freddi e formali. Davanti agli scandali – le parole del Papa – il maligno ci tenta spingendoci ad una visione “donatista” della Chiesa: dentro gli impeccabili, fuori chi sbaglia! Abbiamo false concezioni della Chiesa militante, in una sorta di puritanesimo ecclesiologico. I peccati pubblicati e pubblicizzati del clero hanno resi tutti più guardinghi. C’è più “comunità” ma meno comunione».

Il Papa individua il vero problema, il «dramma», nell’«isolamento inerente all’anima del prete. Isolati rispetto alla grazia, lambiti dal secolarismo», i santi percepiti solo come «gli “amici immaginari” dei bambini». Ma «la lontananza dalla forza della grazia produce razionalismi o sentimentalismi, mai una forza redenta». Un monito particolare a chi arriva in una nuova comunità parrocchiale: «Non siamo capaci di continuare a far vivere il bene che non abbiamo partorito noi» perché «non sentiamo il gusto di appartenere ad un cammino comunitario di salvezza». E un consiglio del Papa a tutti: la ricerca di un buon padre spirituale per condividere i problemi.

Tre le cause indicate da Francesco rispetto all’amarezza del prete, a cominciare dai problemi con la fede. «Per sperare cristianamente bisogna vivere una vita di preghiera sostanziosa», è la sua esortazione. E se il rapporto con Dio può rappresentare motivo di amarezza, «la protesta vera dell’adulto non è contro Dio ma davanti a Lui. Il Signore vuole coinvolgerci direttamente nel suo Regno. Partecipando attivamente». Anche i problemi con il vescovo sono indicati dal Papa tra le cause dell’amarezza. Se definisce «un luogo comune» quello «che trova nei superiori la colpa di tutto», scrive che «molta amarezza nella vita del prete è dovuta alle omissioni dei pastori. Il vero problema che amareggia non sono le divergenze (e forse nemmeno gli errori)» quanto «una certa deriva autoritaria soft: non si accettano quelli tra di noi che la pensano diversamente».

Qualche esempio? «La parresìa è sepolta dalla frenesia di imporre progetti. L’adesione alle iniziative rischia di diventare il metro della comunione. La grande tentazione del pastore – osserva Francesco – è circondarsi dei “suoi”, dei “vicini” e così la reale competenza viene soppiantata da una certa lealtà presunta», e «questo fa molto soffrire il gregge che sovente accetta senza esternare nulla». E se in un tempo di precarietà, la soluzione, sottolinea il Papa, «sembra l’autoritarismo – nell’ambito politico questo è evidente! -, la vera cura sta nell’equità».

All’inizio della liturgia, il cardinale De Donatis aveva rivolto ai sacerdoti una meditazione a partire dal Vangelo delle beatitudini e da un passo di san Paolo ai cristiani di Corinto. Con l’invito a vivere la Quaresima riservando uno spazio quotidiano alla preghiera, con un momento mattutino di ascolto della Parola, e un’attenzione per tutto il tempo quaresimale alla condivisione nella fede e alla fraternità con i confratelli. Nel suo intervento, la sottolineatura della necessità di mettere in atto la “Chiesa in uscita” indicata da Papa Francesco, ispirandosi ai Vangeli delle cinque domeniche di questa Quaresima dell’anno A  – «tempo di catecumenato verso il Battesimo» – che evidenziano un «Gesù in uscita». Con l’impegno a vincere le tentazioni, guidati «dallo Spirito nel deserto: il possedere sarà vinto dal donare, nella povertà di spirito; l’apparire dall’essere, nella castità del corpo e del cuore; il potere dal servire, nell’obbedienza vera alla volontà di Dio». Obiettivo: annunciare Dio Padre, «un bisogno più che un dovere – aveva detto De Donatis -. Uscire da sé è comunicare vita mediante l’annuncio del Regno».

Il cardinale aveva indicato gli atteggiamenti dell’«uomo graziato», dall’umiltà al disinteresse alla povertà del cuore. «I poveri sono mendicanti, che non possono vivere se non c’è chi li aiuta». Ma i limiti, evidenziati dalle tante figure bibliche cui Dio affida un compito impegnativo (da Mosé a Maria agli Apostoli), «sono la porta della salvezza, perché solo chi è senza potere entra nel Regno di Dio». Citando santa Teresa di Lisieux, «i limiti sono il trampolino di lancio per la mia santità». E la povertà, come è intesa da Gesù, non è tanto «la rinuncia ai beni» ma «la signoria sui beni. Se il Signore ti disarma – è l’incoraggiamento di De Donatis ai sacerdoti – è perché vuole renderti ministro di vittoria».

A conclusione della liturgia, il gesto di carità illustrato dal direttore della Caritas diocesana, don Benoni Ambarus: un gemellaggio con la Georgia, con il sostegno alla comunità delle Piccole Figlie di San Giuseppe nella città di Batumi, frequentata da don Andrea Santoro durante la sua permanenza in Turchia. Un segno di comunione dei sacerdoti e dei diaconi permanenti della diocesi di Roma con una comunità bisognosa, nella memoria di un confratello che ha dato la vita per il Vangelo.

27 febbraio 2020