Giorno della Memoria: parla la moglie di Sami Modiano

Selma Doulmar racconta la sua vita accanto a uno degli ultimi testimoni della Shoah, un «orrore che non può e non potrà mai dimenticare e che ancora oggi io non ho saputo e potuto vedere nel profondo»

Selma Doulmar è da 62 anni la moglie di Sami Modiano, sopravvissuto allo sterminio nazista e uno degli ultimi testimoni della Shoah, un «orrore che non può e non potrà mai dimenticare e che ancora oggi io non ho saputo e potuto vedere nel profondo», dice, ma che «lui vuole continuare a raccontare, soprattutto ai giovani, perché teme che l’antisemitismo possa ripresentarsi ancora». Selma aveva solo 13 anni la prima volta che incontrò il futuro marito ed era poco più che adolescente quando lo sposò 3 anni dopo, nel 1958, nel Congo belga. «Ero praticamente ancora una bambina e con lui sono cresciuta – dice -, con un uomo che mi ha tanto rispettata e amata e al quale io ho cercato e cerco di alleviare parte della sua sofferenza che è indicibile e che gli fa guardare alla vita in un modo completamente diverso da chi quel dramma non lo ha conosciuto e sperimentato».

Alla vigilia del Giorno della Memoria, il 27 gennaio, Selma ricordo il loro primo incontro, a Rodi, dove entrambi erano nati e dove lei viveva con i suoi genitori e tre fratelli e dove lui ritornò per la prima volta solo 10 anni dopo la liberazione dai campi di concentramento polacchi. «Per un decennio dopo la fine della guerra – ricorda Selma –, Sami si trasferì per lavoro in Africa». Anche la famiglia Doulmar, di fede ebraica da parte materna, visse l’esperienza della «persecuzione durante il secondo conflitto mondiale ma senza la deportazione: riuscimmo a scampare e ci rifugiammo per oltre 9 mesi nei boschi sulle montagne, che mio padre conosceva bene perché era un esperto raccoglitore di funghi». Selma allora aveva solo 4 anni e ricorda poche cose, tra le quali «il freddo dentro alla grotta dove abitavamo e dove mamma cucinava poche erbe commestibili e le lumache, accendendo un piccolo fuoco solo all’interno perché fuori il fumo poteva essere individuato e farci scoprire, il che equivaleva a essere fucilati immediatamente».

È stata Selma che nel 2005 ha convinto il marito a partecipare agli incontri di testimonianza nelle scuole e ai viaggi della memoria organizzati ad Auschwitz e Birkenau per gli studenti; prima di allora Sami «non mi aveva mai raccontato nulla della sua terribile esperienza e quando gli facevo delle domande mi pregava di non continuare perché era troppo doloroso per lui», ricorda. Una volta in particolare «mi spiegò che quando, anni prima, aveva cercato di parlarne, alcune persone che lo ascoltavano avevano fatto dei segni come a dire che fosse matto» e così aveva smesso di esternare la sua sofferenza. Ma quando in un’intervista televisiva Modiano riconobbe il suo vecchio amico e compagno nei campi di concentramento Pietro Terracina, «dopo averlo incontrato a 60 anni di distanza dalla deportazione, valutò concretamente la possibilità di unirsi a lui nell’esperienza dei viaggi e degli incontri coi giovani».

Negli ultimi 15 anni Selma ha accompagnato il marito in ogni esperienza di testimonianza e commemorazione, standogli accanto con dolcezza e con un fare accudente: «Sami soffre ogni volta nel ricordare perché per lui è come rivivere tutto – sottolinea – ma sente questo impegno come un dovere morale e una missione che danno senso e significato al suo essere l’unico sopravvissuto alla Shoah della sua famiglia». Per Selma «Sami non è mai uscito dai campi di sterminio, una parte di lui continua a vivere lì dentro» e quella che racconta e riesce a raccontare è solo «una minima parte della sua storia» che, però, spera possa «essere un dono per le coscienze dei giovani che ama e nei quali ha tanta fiducia perché saranno i testimoni di domani».

24 gennaio 2020