Premio De Carli, tra le vincitrici anche Laura Galimberti

La collaboratrice di Roma Sette premiata per “Varchi di luce. Viaggio intorno alla Misericordia: Scampia”, realizzato per Tv2000. Premiata anche Lucia Capuzzi (Avvenire), per il reportage sull’attentato terroristico alla chiesa copta egiziana di Mar Girgis

In cima alla classifica della V edizione del Premio “Giuseppe De Carli” per l’informazione religiosa, due donne. La prima è Laura Galimberti, da diversi anni collaboratrice di Roma Sette – che sul giornale in edicola domenica 19 gennaio con Avvenire firma un articolo sulla parrocchia di Santa Maria Regina Pacis, a Ostia -, premiata per “Varchi di luce. Viaggio intorno alla Misericordia: Scampia”, servizio realizzato per Tv2000 sull’opera dei Lasalliani per strappare i giovani all’analfabetismo e alla delinquenza. Con lei è stata premiata anche Lucia Capuzzi di Avvenire, per il reportage “Tanta è già in piedi: il terrore non vincerà”, sull’attentato terroristico alla chiesa copta egiziana di Mar Girgis.

Dietro di loro si sono classificati per la categoria “testi” Anthony Faiola, Chico Harlan e Stefano Pitrelli, autori di un articolo del The Washington Post su una storia di abusi da parte di religiosi ai danni di alunni sordomuti; per la categoria “video” Paola Russo di Padre Pio TV con un lavoro che racconta il reinserimento sociale di alcuni ex detenuti. L’associazione “Giuseppe De Carli” ha conferito poi il Premio Giovane promessa al fotografo Daniel Ibáñez Gutiérrez di Ewtn-Cna e il Premio alla “Carriera” a Vincenzo Quaratino, per quasi un ventennio alla guida della redazione Cronache italiane dell’Agenzia Ansa.

I riconoscimenti sono stati consegnati ieri pomeriggio, 16 gennaio, alla Pontificia Università della Santa Croce, al termine di una tavola rotonda dedicata al tema “Come rendere attraente il racconto del fatto religioso”. Ad aprire l’incontro, Alessandro Gisotti, vice direttore editoriale del dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, che ha rassicurato rispetto alla paura «che il valore del nostro lavoro si stia dissolvendo» di fronte alla presenza sempre più pervasiva dei social media. «La tecnologia – ha affermato – non prenderà mai il nostro posto. Ci sarà sempre bisogno di bravi giornalisti». Quindi, citando l’omaggio di Francesco ai comunicatori al termine dell’incontro in Vaticano sugli abusi, ha continuato: «Il giornalista che fa domande scomode fa bene il suo mestiere. Per informare, devi prima informarti, e informarti bene», ha ricordato il relatore menzionando un insegnamento del suo maestro, padre Federico Lombardi.

Per Gisotti, «ciò che rende attraente il fatto religioso è l’incontro. I Vangeli sono pieni di incontri inestimabili. L’incontro è ciò che rende il fatto religioso vivo, perché, come dice Benedetto XVI, la fede cristiana non è una grande idea o una teoria, ma l’incontro con una Persona». Di «comunicazione credibile» ha parlato anche il vescovo Domenico Pompili, presidente della Commissione nazionale per le comunicazioni sociali della Cei, che l’ha indicata come antidoto rispetto al rischio di «essere consegnati mani e piedi ad una sorta di alluvione informativa che ieri era nelle mani dei potentati economici e politici e oggi del grande mondo tecnologico, che rischia di essere un soggetto senza testa, in un mondo che si è fatto complicato».

Le nuove tecnologie, è la tesi di Pompili, «hanno completamente cambiato la mentalità del giornalista, che si è trasformato da narratore, che racconta i fatti concreti andando in giro, a duplicatore, le cui fonti sono disperse nell’etere, perché i nuovi dispositivi possono documentare tutto in tempo reale e il compito del giornalista è creare un set che faccia entrare nella notizia». Oggi «siamo specialisti dell’intrattenimento», ha continuato, sottoposti a tanti vincoli. Su tutti, «la pressione ideologica, che forza il singolo ad adeguarsi al mainstream, che lo costringe a sagomare il suo lavoro sulle tensioni compulsive del committente. Oggi – le parole del vescovo – non c’è più nessuna ideologia, se non quella di massimizzare i profitti. La pressione ideologica è la nuova ideologia».

Ancora, il presidente della Commissione Cei ha indicato come campanello d’allarme «la rarefazione della formazione personale, che rende più vulnerabili rispetto alla gestione di una mole immensa di dati senza la capacità di lettura e di tenere la schiena dritta, senza recedere di fronte alle proprie convinzioni e accettando anche l’insuccesso immediato, pur di non farsi fagocitare».