La “Venezia” di Guccini così lontana dal turismo di massa

Il brano portato al successo nel 1981 dall’artista emiliano, inserito nell’album “Metropolis”, e dedicato a una donna morta di parto a vent’anni

Picchi ripetuti di acqua alta, danni incalcolabili per cittadini e commercianti, a rischio la basilica di San Marco e il suo patrimonio artistico e culturale, ripercussioni sul turismo, polemiche per i ritardi sulla realizzazione delle opere previste che avrebbero dovuto scongiurare o almeno limitare queste emergenze. Venezia soffre. E non si vede una via d’uscita a breve scadenza. I mezzi di comunicazione di tutto il mondo parlano del suo dramma.

Torna alla mente quel grido d’allarme e d’amore – «Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare» – lanciato quasi quarant’anni fa da uno dei più grandi esponenti della musica d’autore di casa nostra, Francesco Guccini, modenese di nascita e pavanese di adozione (Pavana, il paese dell’Appennino tosco-emiliano punto di riferimento della sua infanzia). Era il 1981 quando l’artista emiliano – che alle soglie degli 80 anni torna a cantare per la prima volta dopo il suo ritiro dalle scene con un inedito, proprio in dialetto pavanese – propose questa splendida canzone inserita nell’album “Metropolis”.

In realtà, la canzone parlava di ben altro. È la storia di una donna morta ad appena vent’anni dopo aver dato alla luce un figlio. Del resto, contrariamente ai non pochi che negli anni l’hanno dipinto come un artista soprattutto “politico”, Guccini è un grande narratore di storie. Capacità che ha trasferito anche nella letteratura, con i 23 libri pubblicati. Peraltro, la canzone non è sua. Era stata scritta da Gian Piero Alloisio e incisa due anni prima dall’Assemblea Musicale Teatrale. Guccini la adattò con poche modifiche ma la sua interpretazione la rese celebre.

Venezia è lo sfondo di questa storia, raccontata con parole struggenti. «Stefania era bella, Stefania non stava mai male, / è morta di parto gridando in un letto sudato d’ un grande ospedale; / aveva vent’ anni, un marito, e l’anello nel dito». Ma è uno sfondo ben lontano dal turismo di massa nel quale siamo abituati a collocarla. «Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare, / però non ti puoi risvegliare con l’acqua alla gola, e un dolore a livello del mare: / il Doge ha cambiato di casa e per mille finestre / c’è solo il vagito di un bimbo che è nato, c’è solo la sirena di Mestre…». Restano impresse quelle immagini delle piccole cose – come la «Novella Duemila e una rosa sul suo comodino» – già presenti nel testo originale ma così care al narratore Guccini.

26 ottobre 2019