Bolivia, nuovo appello dei vescovi: «Garantire tutti»

L’ex presidente dimissionario Evo Morales è già in Messico; il Paese nel caos e nel vuoto di potere. Perplessità sul leader di destra Luis Fernando Camacho

«Tornerò con ancora maggiori energie». Parla dal Messico, Evo Morales: l’ex presidente dimissionario ha accettato l’asilo politico concesso da Lopez Obrador. I Paesi lungo la rotta hanno concesso il loro spazio aereo, per permettergli di arrivare. Il Paese intanto è piombato nel caos e nel vuoto di potere: senza presidente, vicepresidente, svariati ministri e governatori dei dipartimenti, capo della Polizia. E anche senza Tribunale elettorale, dopo che il precedente è stato interamente arrestato quando l’Organizzazione degli Stati americani ha confermato le accuse di frode elettorale. Continuano scontri e vendette tra fazioni e la situazione resta difficile soprattutto a La Paz e nella sovrastante El Alto.

In questa situazione, nella notte italiana c’è stato un ulteriore pronunciamento della Conferenza episcopale boliviana. «Ci rivolgiamo come Conferenza episcopale boliviana, insieme alla comunità internazionale, attraverso i suoi ambasciatori, a tutto il popolo boliviano in questo momento molto difficile e per il nostro Paese», inizia il testo letto dal vescovo di El Alto Eugenio Scarpellini. In primo luogo, «ci rivolgiamo alla polizia e alle forze armate in modo che, a partire dalla loro responsabilità costituzionale, possano offrire garanzie per la pacificazione del Paese, in special modo proteggendo i beni pubblici e la vita delle persone, e possano garantire che tutti gli atti si svolgano in piena pace».

Quindi, proseguono i vescovi, «ci rivolgiamo anche ai pubblici ministeri, preposti a garantire l’ordine e la legge e in questo momento tenuti a fermare le agitazioni, a rispettare le garanzie e i diritti personali di tutti, ma soprattutto politici, leader, dirigenti, deputati o altre persone di entrambi gli schieramenti o tutte le situazioni politiche nel Paese. Questo per non creare ulteriori difficoltà e sommovimenti tra la popolazione». Da ultimo, «facciamo appello a tutte le persone presenti in Bolivia, alle persone di buona volontà, perché sia possibile vivere questo momento così arduo e così difficile con tranquillità, evitando eccessi, impedendo alle persone infiltrate di alterare il clima di pace. E che tutti possiamo mettere un granello di sabbia per la pacificazione del Paese».

Intanto arrivano anche le prese di posizione al di fuori dei confini boliviani, nel continente latinoamericano. La rinuncia di Morales è vissuta con speranza in Venezuela e in Nicaragua, con preoccupazione negli altri Paesi guidati dalla sinistra: Cuba, Messico e, ora, anche Argentina. Qui si sostiene l’idea che Morales sia stato rovesciato da un vero e proprio «colpo di Stato». Posizione simile anche da parte di numerosi teologi della liberazione. Molte polemiche si incentrano sul profilo di alcuni dei leader civici che hanno capeggiato la protesta e in particolare Luis Fernando Camacho, leader del discusso movimento Unión Juvenil Cruceñista.

Camacho ha capeggiato la rivolta a Santa Cruz de la Sierra, città più popolosa della Bolivia e tradizionale bastione della popolazione “bianca” e più lontana da Morales. Evangelico, propugna una posizione di destra ed è stato definito il “Bolsonaro boliviano”. Hanno fatto il giro del mondo le immagini del suo ingresso nel palazzo del governo, domenica 10 novembre, assieme all’altro leader civico Marco Antonio Pumari, mentre in una mano aveva il testo della rinuncia di Morales e nell’altra la Bibbia. Dall’Argentina Marcelo Figueroa, evangelico e direttore dell’edizione locale dell’Osservatore Romano, scrive su Facebook di «ripudiare» coloro che, «definendosi evangelici, appoggiano e promuovono il golpe. Come cristiano ed evangelico, non mi sento rappresentato da Camacho. Il Vangelo invita a stare a fianco degli umili».

12 novembre 2019